Call for papers / Federico Oliveri

Este artigo tem como proposta apontar a urgência – e viabilidade – da inclusão da temática penal nas discussões acerca da governança global ambiental, como política pública internacional, a ser internalizada, posteriormente, nos países. Para tanto, o trabalho se divide em duas partes: na primeira, expõe-se como a governança global ambiental, atualmente, busca conectar Estados e suas subdivisões administrativas, organizações internacionais, empresas transnacionais e sociedade civil em torno de objetivos comuns, relacionados ao incremento da proteção do meio ambiente e ao uso sustentável dos recursos naturais. Na segunda parte, o estudo dedicar-se-á a apontar a urgência da tipificação de crimes internacionais contra o meio ambiente em tempos de paz, como meta para uma governança global mais coesa, considerando as organizações internacionais existentes, a fim de promover a unificação de teses e abordagens de ordem prática, um dos grandes problemas da governança hoje, carente de uma liderança mais efetiva, capaz de concentrar os entendimentos sobre o tema. Conclui-se que a governança global ambiental deve se ocupar, inicialmente no plano internacional, de criminalizar condutas graves atentatórias ao meio ambiente, sendo este um passo necessário e, talvez mais que isso, útil à confluência de entendimentos sobre os meios e mecanismos de proteção e repressão.

Il contributo intende concentrarsi sull’apporto offerto al mantenimento della pace da parte della Comunità di Sant’Egidio, associazione fondata a Roma nel 1968. L’analisi partirà dal suo primo e meglio conosciuto successo, quello ottenuto in Mozambico: grazie ad un negoziato svoltosi proprio presso la Comunità, il 4.10.1992 il governo legittimo e i guerriglieri hanno posto fine a 17 anni di conflitto, firmando l’Accordo Generale di Pace. Il controllo sull’attuazione di quest’ultimo è stato poi affidato all’ONUMOZ, operazione istituita dal CdS con la Risoluzione 797 (1992). L’analisi si concentrerà poi su una delle iniziative recenti di Sant’Egidio, quella in Repubblica Centrafricana: anche qui, la Comunità ha dimostrato di poter collaborare proficuamente con l’ONU, completandone l’azione. Proprio nell’ottica di ufficializzare tale collaborazione, il 9.6.2017 l’ONU e Sant’Egidio hanno firmato un accordo che prevede un canale di comunicazione centralizzato e regolare tra le due organizzazioni. Tale intesa senza precedenti suscita indubbio interesse: infatti, il ruolo attribuito alle ONG dalla Carta ONU è decisamente ridotto, limitandosi alla funzione consultiva rispetto all’ECOSOC prevista dall’art. 71. L’accordo in questione, dunque, può essere interpretato come un tentativo di colmare il divario tra l’attivo coinvolgimento della Comunità nelle dinamiche internazionali e il limitato ruolo istituzionalmente riconosciutole nel sistema ONU.

The purpose of this article is to analyse the legality of the practice of treaty-based interventions by international organisations of regional character in their member states under international law. In particular, the objective is to analyse the legality of this practice in relation to the general rules of international responsibility and to the collective security system of the Charter of the United Nations. Regarding the rules of international responsibility treaty-based interventions are considered lawful provided there is valid consent from the affected state, since consent is considered as a circumstance precluding the wrongfulness of certain conducts. With respect to the United Nations Charter such practice can also be deemed lawful considering that it does not characterize as enforcement action requiring authorization by the Security Council, as provided for in Chapter VIII of the Charter. The article concludes that such interventions are generally lawful under international law but must comply with certain conditions to be carried out. As a recent practice, interventions by regional organisations in their member states do not have well-defined legal dimensions and have not been extensively analysed by doctrine.

Lo scopo di questo articolo è quello di fornire un personale ricordo di Alberto L’Abate, illustrando il ruolo che egli ha svolto nell’ambito dell’esperienza non violenta italiana. Fare questo implica ricostruire la storia delle persone e dei movimenti non violenti a partire dal 1989, impresa non agevole e che richiede il superamento delle tradizionali impostazioni accademiche. Difatti, la storiografia dei movimenti non violenti richiede il passaggio da un approccio descrittivo ad uno interpretativo. Dopo aver esposto i quattro modelli di sviluppo (MDS) proposti da Lanza del Vasto negli anni ’50 e poi da Galtung negli anni ’70, l'articolo inquadra la storia politica del XX secolo nei suddetti modelli. Infine, l’autore offre una breve esposizione della vicenda non violenta italiana, sottolineando le peculiarità rispetto al panorama europeo. È all’interno di questo quadro che si colloca l’attività di L’Abate, come illustrato attraverso una tabella che permette di cogliere graficamente il suo apporto alla non violenza italiana.

Il presente contributo propone di descrivere come, all’interno di un Corso progettuale in design del prodotto, venga affrontato il tema delle migrazioni a partire dall’analisi delle principali tappe che contraddistinguono il percorso di profughi e rifugiati, dalla partenza fino all’arrivo e alla permanenza nel paese ospitante. L’articolo verte, in particolar modo, sulla disamina di due principali metodologie di design: il pensiero laterale e il design thinking, che vengono utilizzate durante tutto lo svolgimento del progetto. A supporto dei commenti metodologici, verranno illustrati due tra i sette progetti nati all’interno del Corso: Grab.m e Kala, che si concentrano rispettivamente sul tema della traversata in mare e su quello dell’integrazione culturale.

Il saggio ricostruisce la pratica della Clinica di Malattie Nervose e Mentali di Pisa durante la Prima Guerra mondiale. Più in particolare si fa riferimento all’ampia letteratura sul ruolo dello psichiatra nella società, e sul problema della psichiatria di guerra, già problematizzato e dibattuto nel corso dei conflitti coloniali. Sullo sfondo di questo dibattito ideologico, vissuto in modo polivoco dalla classe dirigente nazionale, si prende in analisi il problema scientifico dell’eziologia traumatica dei disturbi psichiatrici. Si considera in particolare il caso della Clinica di Pisa, e di diversi documenti da essa prodotti. Emerge nei casi considerati, infatti, l’apparente contraddizione di una “malattia impossibile”, diagnosticata presso la popolazione militare ricoverata ma non fra i civili. In effetti, in questo periodo storico, la scienza psichiatrica italiana sembra non contemplare la possibilità che una patologia psichiatrica insorga per una diretta causazione bellica. Si propone di sciogliere questa problematica, nel caso dei documenti presi in esame, rilevando il dettaglio della pratica clinica, che risulta differenziata in questo genere di casi, e considerando alcuni sviluppi successivi.

Il sistema politico Iraniano, basato dal 1979 sulla legge islamica (la legge della Shari’a), così come il suo governo in carica, stanno affrontando numerose sfide e vere e proprie crisi esistenziali, tipiche di una società segnata dalle contraddizioni delle società in transizione. In questo caso, una delle contraddizioni principali riguarda il rispetto dei principi giuridico-morali islamici, che erano l’obiettivo fondamentale della Repubblica Islamica dell’Iran. Questo articolo intende mettere in discussione, almeno in parte, le radici profonde degli attuali problemi attraverso analisi approfondite del potere politico iraniano e della sua evoluzione, ritornando al primo movimento popolare moderno del paese e al fallimento della rivoluzione costituzionale del 1906, i cui effetti durano fino ad oggi. In questo quadro, anche una riflessione sul ruolo degli intellettuali secolari e degli scienziati religiosi iraniani e sulla loro influenza nel dibattito pubblico sarà considerato. Infine, è opportuno concentrarsi sulla carta costituzionale attuale e su come venne stabilita, in particolare sul principio del velāyat-e faqih (tutela del giurisperito) e sulle sue conseguenze teorico-pratiche, dopo che il popolo iraniano è stato governato da un governo laico come quello di Pahalvi (1925-1979) per quasi mezzo secolo.

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