Call for papers / Federico Oliveri

L'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è stata creata con l'obiettivo principale di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, soprattutto dopo tutte le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. La Carta delle Nazioni Unite, tuttavia, pur consentendo a cinque paesi di godere dello status speciale di Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza corredato dal “diritto di veto”, non prevedeva la possibilità che questo diritto potesse minare l'intero funzionamento dell'organizzazione. Così, il conflitto in corso tra Russia e Ucraina, dove un uso non autorizzato della forza è stato perpetrato proprio da uno dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, mette in luce la fragilità dell'ONU: il diritto di veto ha concesso alla Russia il potere di bloccare il Consiglio di Sicurezza. Questo ha chiamato l'Assemblea Generale ad agire, ma poiché le sue risoluzioni non sono vincolanti, esse non comportano l'obbligo di obbedienza da parte di nessuno Stato. A fronte di ciò, questo paper attraverso il metodo deduttivo, basato su ricerche bibliografiche e documentali, riflette sulle prospettive dell'ONU e del suo ruolo nell'ambito della pace e della sicurezza, concludendo che le sue limitate possibilità di azione rendono necessaria la ricerca di risposte ulteriori e più ampie nell'ambito del diritto internazionale.

Il presente lavoro discute la portata e il grado di attuazione del principio di solidarietà, che giustifica l'azione dell'Unione Europea sia all'interno che all'esterno dei propri Stati membri, in relazione alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e alla realtà della violazione di questi diritti in Brasile, come esemplificato dal gran numero di minori privati della libertà nei centri di detenzione socio-educativi. La letteratura sull'argomento viene passata in rassegna per identificare la possibilità legale dell'Unione Europea di operare al di fuori del proprio blocco di Stati membri, allo scopo di proteggere i diritti di questi giovani. I dati secondari sono utilizzati per illustrare la realtà di tali violazioni dei diritti dei giovani, sia quando entrano in conflitto con la legge sia quando sono vittime dell'azione dello Stato, come modo per giustificare una possibile azione dell'Unione Europea in Brasile. I precetti degli studi decoloniali sono utilizzati per esaminare come questa applicazione del “principio di solidarietà” potrebbe essere resa operativa, nella consapevolezza che l'unico modo possibile per raggiungere questo obiettivo comporterebbe l'assunzione di responsabilità per gli investimenti economici nella riduzione delle disuguaglianze.

La raccolta degli scritti e degli interventi di Enrico Berlinguer dedicati al tema della pace, curata da Alessandro Höbel, esce con tempestività nel momento in cui si combatte un’altra guerra in Europa. Dalla lettura dei testi emerge come per Berlinguer il nesso tra politica estera e politica interna fosse centrale, e la pace fosse pensata come la condizione di un nuovo modello di sviluppo su scala mondiale. Dalla rivendicazione di autonomia dall’URSS per la costruzione di una “via italiana al socialismo”, alla elaborazione di un’idea di austerità intesa come giustizia sociale nel rapporto tra Nord e Sud del mondo, fino alla battaglia contro l’installazione degli euromissili, possiamo ben dire che per Berlinguer la pace veniva prima di tutto. La raccolta è aperta da una sapiente introduzione del curatore, che interviene anche in premessa a ogni capitolo per inquadrare storicamente il momento in cui il discorso o l’articolo veniva pronunciato o scritto.

In un secolo, tra il 1890 e il 1981, la stampa missionaria introdusse un linguaggio rinnovato nei confronti dei popoli africani. Ciò avvenne di concerto con il processo di avvicinamento della Santa Sede all’Africa e al Terzo Mondo che, sebbene riscontrabile in nuce fin dal XIX secolo, emerse nei suoi tratti principali e evidenti dalla seconda metà del Novecento. Per un primo sguardo si è deciso di porre a confronto tre differenti pubblicazioni su vicende legate alla liberazione di schiavi e all’impegno anti-schiavistico posto in essere dai missionari cattolici, attività considerata fondamentale dalla Chiesa nel definire il significato della sua presenza in Africa. Innanzitutto è stato esaminato un romanzo intitolato Avorio Nero edito per la prima volta nel 1959 e ristampato per la seconda volta nel 1981, a distanza di ventidue anni di tempo. Il confronto tra le due edizioni è stato utile per dimostrare come il genere letterario missionario si sia trasformato durante la seconda metà del XX secolo di conserva con i mutamenti politici e dottrinali che investirono, a macchia di leopardo, le istituzioni cattoliche. L’analisi delle due edizioni è stata raffrontata con una lettera pubblicata nel 1890 sulla rivista Missione Cattolica dai missionari francesi presenti in Senegambia, nella quale è descritto un episodio di liberazione di una schiava. La comparazione è determinante perché restituisce continuità e discontinuità sul lungo periodo nella pubblicistica missionaria. Seppur differenti, giacché il primo è un romanzo di fantasia e il secondo una lettera di corrispondenza, si ritiene che sia utile porre i due tipi di documento a confronto soprattutto perché trattano lo stesso argomento (la liberazione degli schiavi in Africa) e sono entrambi indirizzati ai lettori delle pubblicazioni missionarie e, quindi, pensati per un pubblico vasto e trasversale (donne, uomini, ragazzi). Ci interessa infatti comprendere come l’opinione pubblica italiana abbia recepito la lotta alla schiavitù posta in essere dalle missioni cattoliche. Il fatto dunque che il caso di fine Ottocento si svolga in Senigambia e i romanzi della seconda metà del Novecento siano ambientati in Kenya poco intacca l’obiettivo di partenza perché rileva provare a ricostruire la storia delle idee e l’immaginario creatosi intorno alla prassi missionaria e non già l’atteggiamento delle missioni in quei territori.

Il presente lavoro consiste in un’analisi della funzione del conflitto nel pensiero etico-politico di Spinoza, a partire dal modo in cui viene definita e valutata l’indignatio nella terza e quarta parte dell’Etica e al ruolo attribuito ai moti d’odio della multitudo nel Trattato Politico. Mentre evidenziamo una certa tensione nel passaggio dall’opera etico-metafisica a quella più spiccatamente politica, dove l’autore si assume come ineliminabile e costitutiva la presenza, nello stato, di desideri inadeguati e segnati dalla contrarietà, definiremo che valore – di utilità e dannosità – Spinoza assegni all’indignazione nell’ambito delle relazioni interumane e nel consesso politico. Questo percorso ci permetterà di individuare due tipi di conflitto ascritto alla sua teoria politica: il conflitto regolativo dell’attività delle istituzioni e della sovranità; il conflitto costituente in quanto capace di radicali trasformazioni in situazioni di profonda corruzione. Più nello specifico, evidenzieremo lo statuto combinatorio della vita affettiva al fine di guardare alla costituzione di uno nuovo stato evitando di ridurla ad affetti isolati di contrarietà e, allo stesso tempo, l’esclusione assoluta di un contributo dell’indignazione e della discordia nella transizione da una forma di organizzazione politica ad un’altra.

La guerra in Ucraina sta procedendo da oltre un anno, senza accordi su temporanei cessate il fuoco né prove di vero negoziatoLa difficoltà ad avviare negoziati efficaci, l’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO e la rimilitarizzazione degli Stati, stanno riproponendo uno scenario di disordine internazionale e riducendo gli spazi per soggetti “terzi” e/o “neutri”, quelli che dovrebbero agire secondo imparzialità e garantire giustizia e rispetto del diritto internazionale. L’articolo si propone di riabilitare le categorie di neutro e di terzo nei processi di risoluzione delle controversie internazionali, e di sollevare i problemi e le contraddizioni che la loro scomparsa sta provocando per un ordine mondiale di pace e sicurezza.

Questo contributo intende evidenziare gli impatti geopolitici e sociali che la guerra in Ucraina-Russia provocherà nel medio e lungo termine, in relazione alle molteplici crisi (energetiche, alimentari, ecc.) che la società mondiale sta affrontando. Dal punto di vista metodologico, si tratta di uno studio comparativo tra due modi di affrontare il capitalismo, da parte del blocco occidentale e di quello orientale. Inoltre, viene impiegato il metodo Transcend, che costituisce un modo di pensare dalla Peace Research attraverso un processo di diagnosi, prognosi e terapia, accompagnato da una rassegna bibliografica sugli eventi più recenti. I fatti indicano una crisi del capitalismo e lo sviluppo di scontri per mantenere l'egemonia degli Stati Uniti e dell'Europa contro altri attori come Cina, Russia e Arabia Saudita, tra gli altri, che sono interessati a un nuovo ordine mondiale in cui gli Stati Uniti cesseranno di essere la potenza egemonica. La guerra Ucraina-Russia è uno dei fattori tra le molteplici carte che vengono mescolate per rompere l'attuale assetto della globalizzazione. In conclusione, il contributo traccia il quadro della nuova articolazione mondiale, che probabilmente emergerà, in cui Stati Uniti e Cina si scontreranno nei prossimi anni per costruire un nuovo paradigma di sicurezza con i rispettivi satelliti. Polarizzando ancora di più le relazioni tra Stati Uniti e UE, da un lato, e Cina e Russia dall'altro, come estremi di conflitti futuri.

Il paper intende ripensare la narrazione della pace e della guerra mettendo in luce alcuni travisamenti concettuali. La Pace positiva è ben insediata negli Studi per la Pace come uno stato originario ‘buono’ (della specie umana, della società) che è stato infranto, ma restaurabile attraverso la mitigazione/eliminazione dei fattori ‘negativi’ siano essi le disuguaglianze, la tecnologia disumanizzante, le istituzioni corrotte, le asimmetrie di potere. Come dire che il negativo/il male è un accidente della storia e, combattendolo con mezzi positivi (empatia, carità, welfare, empowerment, interdipendenza economica, accordi internazionali, ecc.), dovrà riunirsi al bene/il positivo: idea di pace e società future prive di conflitti. Tale versione imperfetta non ha considerato nel suo pieno significato la dialettica degli opposti finendo per ostracizzare le concezioni che sollevano perplessità sulla ‘bontà’ dell’essere umano. Le ha tradotte in aforismi pressoché solo intimidatori, diffondendo ambivalenza verso la guerra. La teoria contrattualistica (Hobbes) vuol dimostrare che allo Stato spetta il ruolo di mediatore e controllore delle tendenze egoistiche e distruttive dei singoli; per tal via si pone garante di accordi fra gli individui per una reciproca sicurezza (così propiziando l’idea di società civile). La socialità (Rousseau) è intesa come atto secondario, non naturale, inventata dall’essere umano per paura dell’altro e dell’ignoto, mosso da passioni in parte positive e in parte negative. In Vom Kriege (von Clausevitz) la guerra è una tragedia a cui porta un cattivo uso della politica: spiegarla nelle sue matrici e tecniche ha il fine di elaborare strategie per fare sia la guerra che la pace. Ripensati questi concetti cardinali e altri a cascata (in primis quelli di conflitto e nonviolenza), il paper ne sperimenta la portata esplicativa procedendo a legare teoria e prassi in riferimento all'odierno evento bellico russo-ucraino.

L'allargamento della NATO negli anni '90 del XX secolo è derivato da molteplici ragioni, ma principalmente dalla forte volontà di alcuni paesi ex socialisti di tagliare in maniera irreversibile ogni legame con la Russia, prevedendo il rischio di un ritorno di quel paese ad ambizioni imperiali. Inoltre i negoziati per l'adesione alla NATO sono stati lo strumento che i paesi dell'est Europa hanno utilizzato per accelerare la loro inclusione nell'Unione Europea. Il conflitto nell'ex Jugoslavia ha offerto un nuovo compito all'Alleanza Atlantica, che dall'intervento armato in Bosnia si è reinventata come strumento di pacificazione, democratizzazione e difesa dei diritti umani in Europa e altrove. L'Unione Europea in realtà si è mossa lentamente e con un atteggiamento prudente, ma probabilmente le preoccupazioni di sicurezza sollevate dal conflitto in Bosnia hanno costretto l'Unione ad accelerare l'inclusione dei paesi dell'est, anche se all'inizio i leader europei miravano a includere solo alcuni paesi, vale a dire Polonia e gli altri membri del gruppo di Visegrad. Infine, quando l'Unione Europea nel 1997 ha deciso di aprire le porte a tutti i paesi dell'est, eccetto l'Ucraina, le riforme politiche ed economiche imposte ai paesi candidati hanno facilitato la loro adesione alla NATO, compresi i paesi baltici, contribuendo a rimuovere alcune questioni politiche, come la posizione delle minoranze all'interno dei nuovi stati democratici, che avrebbero potuto impedire la loro inclusione nella NATO.

L’aggressione russa all’Ucraina ha avuto, tra le altre conseguenze, quella di legittimare ancora una volta la guerra e, più in generale, lo strumento militare come mezzo chiave per la risoluzione delle crisi. L’inasprirsi del conflitto ha anche messo in evidenza come rimanga forte nella nostra cultura politica l’idea che pace significhi essenzialmente assenza di guerra. Ma la sola assenza di guerra rischia sempre di assomigliare a quella che Tacito mette in bocca al capo Caledone Calgaco: «dove fanno il deserto, la chiamano pace». Gli studiosi di pace hanno ben chiaro che la pace è un qualcosa di molto più ricco e articolato della mera assenza di guerra. Accanto a una “pace negativa”, caratterizzata da assenza di violenza fisica, troviamo così, grazie a una fortunata intuizione di Johan Galtung, l'idea più ampia di una “pace positiva”, fondata sull'assenza di violenza non solo fisica ma anche strutturale e culturale (1964). In questo articolo, ampliando la riflessione sulla “pace positiva”, riformuliamo il concetto di pace riallacciandoci all'idea di pace-shalom biblica, per concentrarci poi, in un’ottica sistemica, sulle interazioni fra mezzi e fini, fornendo delle esemplificazioni di quanto sostenuto.

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