Per rispondere alle crescenti criticità connesse ai fenomeni migrazione, negli ultimi anni i paesi europei hanno sempre più fatto ricorso a politiche restrittive di ingresso. Mentre la letteratura in materia di migrazione tende a supportare questa modalità politica, segnalando un’importante associazione tra le legislazioni restrittive e i flussi migratori, le conclusioni sono solitamente legate solo alla entità dei flussi di migranti regolari. Questo articolo integra questa evidenza, utilizzando dati inediti sui flussi migratori irregolari tra il 2003 e il 2016 sulla rotta del Mediterraneo Centrale, per fornire un’analisi critica delle attuali legislazioni restrittive come uno strumento di gestione della migrazione. L'autore constata che tali restrizioni, invece che scoraggiare la migrazione irregolare, portano piuttosto più persone a tentare di entrare nel sistema dell'asilo. Ridurre l’accesso alle vie legali non ha, dunque, un effetto significativo sulla quantità dei migranti che viaggiano lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, mentre fa crescere il numero di quelli che cercano la regolarizzazione attraverso il processo d’asilo.
L'obiettivo di questo articolo consiste nell'introduzione di un nuovo argomento nel dibattito sulle politiche pubbliche: il tema dell'educazione multiculturale e multilingue è infatti poco presente in tale dibattito, nonostante le molteplici e interessanti prospettive di ricerca che esso comporta. L'articolazione di una discussione sui numerosi aspetti dell'educazione multilingue è tanto più importante alla luce delle configurazioni di super-diversity generate dai processi migratori, nonché in ragione del ruolo svolto dagli immigrati nel tessuto socioeconomico dei paesi ospitanti. Dopo aver introdotto l'argomento, l'articolo presenta le diverse angolazioni da cui la questione dell'istruzione multilingue può essere affrontata, partendo da una panoramica degli aspetti sociali ed economici e di quelli relativi ai diritti umani, e procedendo con una proposta di indagine delle implicazioni per le politiche pubbliche e l'amministrazione, con un focus sugli insegnanti come pubblici ufficiali che attuano le politiche per l'istruzione a stretto contatto con i gruppi target.
Relativamente alle migrazioni, due concetti si dimostrano tanto incontestabili quanto importanti da considerare: si tratta di fenomeni che esistono da sempre e che rappresentano un aspetto integrante degli esseri umani; la globalizzazione favorisce la comunicazione e gli spostamenti tra paesi e continenti, contribuendo così a incrementare il numero dei migranti che, tra il 2000 ed il 2020, è passato da 150 a 272 milioni (IOM 2020). Questo significa, in sostanza, che molto probabilmente le migrazioni continueranno a essere parte della nostra esistenza e, indipendentemente da qualsivoglia ideologia, trovare approcci funzionali a una gestione efficace di tale fenomeno è nell’interesse di ogni nazione e di ogni individuo. L’obiettivo di questo paper consiste nel fare luce su come e quanto l’utilizzo dell’approccio sistemico possa dimostrarsi vincente per la prevenzione e la gestione di una serie di criticità connesse ai flussi migratori, nonché per lo sviluppo di politiche volte a rendere le società nel loro complesso più resilienti, inclusive ed intelligenti. La Teoria dei Sistemi costituisce un ponte tra scienza e società, e si dimostra essere uno strumento incredibile non solo per l’analisi e la risoluzione dei problemi, ma anche per lo sviluppo di nuove strategie di gestione dei meccanismi di organizzazione e di interazione umana, potenzialmente in ogni contesto.
La vulnerabilità caratterizza in maniera diversa i diversi sistemi sociali e tali differenze sono riconducibili a diversi fattori. Tra questi, ad esempio, la sensibilità dell’essere umano ai cambiamenti climatico-ambientali, nonché la capacità di risposta e di adattamento della popolazione e dell’intero sistema socio-economico ad una nuova o improvvisa situazione. Nel presentare e comprendere il fenomeno delle migrazioni post disastro, in questo lavoro, si ritiene che il concetto di vulnerabilità rappresenti una nozione chiave. Attualmente, tuttavia, gli studi su tale associazione limitano il loro esame esclusivamente all’associazione tra vulnerabilità climatica e migrazione internazionale. Se appare molto forte, già a livello intuitivo, la relazione che intercorre tra vulnerabilità e migrazioni, tale relazione si rafforza quando si aggiunge la povertà e il rischio salute. Chi è povero, infatti, presenta sicuramente un rischio maggiore di esposizione a diverse forme di vulnerabilità, anche in relazione a vari tipi di eventi dannosi. Ad esempio, indipendentemente dal fatto che siano stati costretti a fuggire dalle loro case a causa di conflitti, violenze o disastri, ad esempio, milioni di sfollati interni in tutto il mondo vivono in aree densamente popolate, non sono in grado di isolarsi e non hanno accesso all'acqua, ai servizi igienici e all'assistenza sanitaria di base. È essenziale che studiosi e policymakers approfondiscano l’associazione tra vulnerabilità e migrazione in una prospettiva globale, dal momento che la relazione clima-migrazione è eterogenea e dipende in modo critico dalla vulnerabilità differenziale di luoghi e popolazioni.
Il paper analizza il ruolo dell’informazione nelle scelte dei potenziali migranti quanto alla possibilità di migrare (irregolarmente) in Europa, in riferimento all’odierna globalizzazione e alle dinamiche populiste. A prima vista, sia la diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in tutto il mondo, sia il forte accento posto sul contrasto dell’immigrazione non autorizzata in Europa, suggerirebbero che i potenziali migranti dovrebbero possedere una conoscenza piuttosto precisa delle sanzioni conseguenti all’entrata e al soggiorno irregolare. Tuttavia, l’evidenza disponibile sembra mostrare un quadro differente. Basandosi su fonti primarie e secondarie, l'autrice indaga il livello di informazione effettivamente posseduto dai migranti che puntano a raggiungere i paesi europei, e se questo giochi un ruolo importante o meno nell’influenzare le loro decisioni.
L’articolo si propone di analizzare il fenomeno della corruzione sotto vari aspetti. Dopo aver differenziato la corruzione dalla mal amministrazione, se ne definiscono le cause principali, economiche e socio-culturali; se ne indagano gli effetti principali, a partire dall'ambito economico, democratico e sanitario; si discutono le possibili e più efficaci politiche anti-corruzione, tenendo conto che la corruzione ha conseguenze dannose per la società nel suo complesso. Nell'analisi delle politiche di contrasto, si presentano alcuni esempi di segno alternativo: Singapore, che attua una politica autoritaria, la Finlandia, che invece basa il suo approccio sulla partecipazione popolare e la diffusione di una cultura della legalità e della responsabilità individuale. L'approccio partecipativo richiede anche, come premessa, la trasparenza amministrativa ossia il diritto dei cittadini ad avere accesso a pubblici documenti. La normativa italiana viene ricostruita e valutata in questo quadro, mettendo l'accento sull'importanza della società civile e della cittadinanza. Il crescente impegno delle cittadine e dei cittadini contro la corruzione è segno di una forte volontà di cambiamento, ma richiede di concretizzarsi in progetti concreti. Importante, in questo senso, l’introduzione delle cosiddette "comunità monitoranti", che agiscono soprattutto nel controllo del corretto utilizzo e sviluppo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, come all’interno del progetto “Confiscati Bene”. L'implementazione delle norme, in stretta connessione con un rinnovato senso civico ispirato al rispetto delle leggi e alla responsabilità sociale, è presentata in conclusione come la più promettente strategia disponibile contro il sistema della corruzione.
Il saggio affronta il rapporto tra flussi migratori e l'attuale convergenza di paura e lotta contro la “minaccia esterna” delle migrazioni, analizzandone le conseguenze sul dibattito pubblico e sulle politiche in materia di diritti e libertà degli stranieri. Viene analizzato il trattamento riservato ai migranti in Brasile nel corso della storia, in parallelo con la riduzione della concentrazione demografica e con l’asimmetria tra i flussi migratori in ingresso e i brasiliani che vivono all’estero. La regolazione interna si è sviluppata parallelamente alle principali fonti internazionali di legislazione sui migranti, finché il modello non è cambiato passando dalla sicurezza alla solidarietà. Con un voto storico e unanime, è stata approvata la nuova legge in materia di immigrazione, la quale, invece di essere finalizzata al controllo si concentra sull'accoglienza e l'inclusione sociale degli stranieri. Il governo ha assunto una posizione più difensiva in sede di adozione di un decreto per l'implementazione della norma. Gli effetti di questo contrasto sono arrivati fino agli organi giudiziari, tra cui alcuni casi trattenuti dalla Corte Suprema Federale. Un breve confronto finale con i due maggiori sistemi legali occidentali, quello statunitense e quello dell’Unione Europea, mostra alcuni significativi cambiamenti avvenuti in Brasile all’interno dello stato democratico di diritto.
Ogni anno, un gruppo di esperti di tecnologie emergenti si riunisce a Ginevra, per discutere degli ultimi sviluppi nel campo delle armi autonome. La peculiarità di tali armamenti è che, non solo sono in grado di spostarsi senza la necessità di essere pilotati da remoto, ma anche che possono identificare ed attaccare degli obiettivi, senza bisogno di ricevere alcun’autorizzazione da parte di un operatore umano. Chiaramente, il fatto che dei robot possano prendere autonomamente decisioni di vita o di morte su degli esseri umani pone una serie di interrogativi, relativi soprattutto alla loro compatibilità con il Diritto Internazionale Umanitario. Difatti, le norme in questione impongono di effettuare una lunga serie di valutazioni, basate su fattori mutevoli, che appaiono troppo complesse per essere effettuate da delle macchine. D’altro canto, alcune delle caratteristiche distintive delle armi autonome le rendono lo strumento più efficace per minimizzare le probabilità di causare danni collaterali. Da tali contraddizioni è scaturito un acceso dibattito, ancora in corso, circa la possibilità di bandire l’utilizzo dei suddetti armamenti. Il presente studio si propone di identificare, dal punto di vista del diritto umanitario, i principali problemi connessi con l’utilizzo delle armi autonome, analizzando anche la fattibilità di eventuali soluzioni.
Il saggio analizza il ruolo degli intellettuali nella diffusione di una cultura violenta e nella normalizzazione della guerra nella società contemporanea. Si concentra, in particolare, sugli studiosi che giustificano l'uso internazionale della forza in nome dei diritti umani e della tutela dei civili. Il saggio mette in dubbio che si possano ottenere scopi positivi (come la pace, la diffusione della democrazia o la garanzia dei diritti umani) utilizzando mezzi che entrano in contrasto con quegli stessi scopi. È almeno improbabile, infatti, che si possano instaurare forme di vita libere e partecipate laddove queste vengono imposte con la violenza armata. La retorica della “guerra umanitaria” tende a descrivere il nemico come assoluto, irragionevole e irredimibile; degno quindi di essere condannato all’annientamento morale prima e fisico poi. Una simile retorica, però, nasconde spesso interessi politici ed economici, mentre le sbandierate ragioni umanitarie rischiano di funzionare come una facciata, utile più a convincere l’opinione pubblica, che a produrre una società equa e pacifica.
Il saggio si propone di definire la pace neutra come concetto analitico e strumento di ricerca-azione attraverso cui definire i punti che creano criticità e conflittualità all’interno del sistema sociale. L’obiettivo è «neutralizzare» gli elementi violenti (culturali e/o simbolici) che abitano i modelli culturali che ogni società elabora per organizzare le relazioni tra gli individui, la famiglia, i gruppi e le istituzioni. Il metodo si basa sull'interconnessione tra linguaggio e dialogo, componenti basilari per la costruzione della relazione con l’Altro e nei quali prendono corpo nonviolenza e assertività, rispetto e riflessione, seguendo il principio per il quale un'educazione alla pace debba essere impostata nell’ «imparare a criticare». Evidenziando la persistenza degli schemi mentali, che caratterizzano l’azione umana, il fine è quello di creare una cultura nuova, un ”mondo altro”, nel quale le interazioni sociali siano fondate su empatia, tolleranza positiva e scambio reciproco.