Call for papers / Federico Oliveri

Il paper analizza il ruolo dell’informazione nelle scelte dei potenziali migranti quanto alla possibilità di migrare (irregolarmente) in Europa, in riferimento all’odierna globalizzazione e alle dinamiche populiste. A prima vista, sia la diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in tutto il mondo, sia il forte accento posto sul contrasto dell’immigrazione non autorizzata in Europa, suggerirebbero che i potenziali migranti dovrebbero possedere una conoscenza piuttosto precisa delle sanzioni conseguenti all’entrata e al soggiorno irregolare. Tuttavia, l’evidenza disponibile sembra mostrare un quadro differente. Basandosi su fonti primarie e secondarie, l'autrice indaga il livello di informazione effettivamente posseduto dai migranti che puntano a raggiungere i paesi europei, e se questo giochi un ruolo importante o meno nell’influenzare le loro decisioni.

L’articolo si propone di analizzare il fenomeno della corruzione sotto vari aspetti. Dopo aver differenziato la corruzione dalla mal amministrazione, se ne definiscono le cause principali, economiche e socio-culturali; se ne indagano gli effetti principali, a partire dall'ambito economico, democratico e sanitario; si discutono le possibili e più efficaci politiche anti-corruzione, tenendo conto che la corruzione ha conseguenze dannose per la società nel suo complesso. Nell'analisi delle politiche di contrasto, si presentano alcuni esempi di segno alternativo: Singapore, che attua una politica autoritaria, la Finlandia, che invece basa il suo approccio sulla partecipazione popolare e la diffusione di una cultura della legalità e della responsabilità individuale. L'approccio partecipativo richiede anche, come premessa, la trasparenza amministrativa ossia il diritto dei cittadini ad avere accesso a pubblici documenti. La normativa italiana viene ricostruita e valutata in questo quadro, mettendo l'accento sull'importanza della società civile e della cittadinanza. Il crescente impegno delle cittadine e dei cittadini contro la corruzione è segno di una forte volontà di cambiamento, ma richiede di concretizzarsi in progetti concreti. Importante, in questo senso, l’introduzione delle cosiddette "comunità monitoranti", che agiscono soprattutto nel controllo del corretto utilizzo e sviluppo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, come all’interno del progetto “Confiscati Bene”. L'implementazione delle norme, in stretta connessione con un rinnovato senso civico ispirato al rispetto delle leggi e alla responsabilità sociale, è presentata in conclusione come la più promettente strategia disponibile contro il sistema della corruzione.

Il saggio affronta il rapporto tra flussi migratori e l'attuale convergenza di paura e lotta contro la “minaccia esterna” delle migrazioni, analizzandone le conseguenze sul dibattito pubblico e sulle politiche in materia di diritti e libertà degli stranieri. Viene analizzato il trattamento riservato ai migranti in Brasile nel corso della storia, in parallelo con la riduzione della concentrazione demografica e con l’asimmetria tra i flussi migratori in ingresso e i brasiliani che vivono all’estero. La regolazione interna si è sviluppata parallelamente alle principali fonti internazionali di legislazione sui migranti, finché il modello non è cambiato passando dalla sicurezza alla solidarietà. Con un voto storico e unanime, è stata approvata la nuova legge in materia di immigrazione, la quale, invece di essere finalizzata al controllo si concentra sull'accoglienza e l'inclusione sociale degli stranieri. Il governo ha assunto una posizione più difensiva in sede di adozione di un decreto per l'implementazione della norma. Gli effetti di questo contrasto sono arrivati fino agli organi giudiziari, tra cui alcuni casi trattenuti dalla Corte Suprema Federale. Un breve confronto finale con i due maggiori sistemi legali occidentali, quello statunitense e quello dell’Unione Europea, mostra alcuni significativi cambiamenti avvenuti in Brasile all’interno dello stato democratico di diritto.

Ogni anno, un gruppo di esperti di tecnologie emergenti si riunisce a Ginevra, per discutere degli ultimi sviluppi nel campo delle armi autonome. La peculiarità di tali armamenti è che, non solo sono in grado di spostarsi senza la necessità di essere pilotati da remoto, ma anche che possono identificare ed attaccare degli obiettivi, senza bisogno di ricevere alcun’autorizzazione da parte di un operatore umano. Chiaramente, il fatto che dei robot possano prendere autonomamente decisioni di vita o di morte su degli esseri umani pone una serie di interrogativi, relativi soprattutto alla loro compatibilità con il Diritto Internazionale Umanitario. Difatti, le norme in questione impongono di effettuare una lunga serie di valutazioni, basate su fattori mutevoli, che appaiono troppo complesse per essere effettuate da delle macchine. D’altro canto, alcune delle caratteristiche distintive delle armi autonome le rendono lo strumento più efficace per minimizzare le probabilità di causare danni collaterali. Da tali contraddizioni è scaturito un acceso dibattito, ancora in corso, circa la possibilità di bandire l’utilizzo dei suddetti armamenti. Il presente studio si propone di identificare, dal punto di vista del diritto umanitario, i principali problemi connessi con l’utilizzo delle armi autonome, analizzando anche la fattibilità di eventuali soluzioni.

Il saggio analizza il ruolo degli intellettuali nella diffusione di una cultura violenta e nella normalizzazione della guerra nella società contemporanea. Si concentra, in particolare, sugli studiosi che giustificano l'uso internazionale della forza in nome dei diritti umani e della tutela dei civili. Il saggio mette in dubbio che si possano ottenere scopi positivi (come la pace, la diffusione della democrazia o la garanzia dei diritti umani) utilizzando mezzi che entrano in contrasto con quegli stessi scopi. È almeno improbabile, infatti, che si possano instaurare forme di vita libere e partecipate laddove queste vengono imposte con la violenza armata. La retorica della “guerra umanitaria” tende a descrivere il nemico come assoluto, irragionevole e irredimibile; degno quindi di essere condannato all’annientamento morale prima e fisico poi. Una simile retorica, però, nasconde spesso interessi politici ed economici, mentre le sbandierate ragioni umanitarie rischiano di funzionare come una facciata, utile più a convincere l’opinione pubblica, che a produrre una società equa e pacifica.

Il saggio si propone di definire la pace neutra come concetto analitico e strumento di ricerca-azione attraverso cui definire i punti che creano criticità e conflittualità all’interno del sistema sociale. L’obiettivo è «neutralizzare» gli elementi violenti (culturali e/o simbolici) che abitano i modelli culturali che ogni società elabora per organizzare le relazioni tra gli individui, la famiglia, i gruppi e le istituzioni. Il metodo si basa sull'interconnessione tra linguaggio e dialogo, componenti basilari per la costruzione della relazione con l’Altro e nei quali prendono corpo nonviolenza e assertività, rispetto e riflessione, seguendo il principio per il quale un'educazione alla pace debba essere impostata nell’ «imparare a criticare». Evidenziando la persistenza degli schemi mentali, che caratterizzano l’azione umana, il fine è quello di creare una cultura nuova, un ”mondo altro”, nel quale le interazioni sociali siano fondate su empatia, tolleranza positiva e scambio reciproco.

The United Nations continues to raise controversy, also in its capacity as a peacekeeping institution. A number of studies have reported serious abuses committed by peacekeeping personnel in the host countries, abuses that are contrary to the UN peacekeeping mission. This paper seeks to trace back the philosophical origins on which the ethical code of the UN peacekeepers is based. It is argued that the source of moral guidelines and duties for the UN peacekeepers is provided by human rights as captured by the Universal Declaration of Human Rights. The rationale of the human rights is in turn founded on the philosophy of Immanuel Kant. The latter has emerged as a part of Enlightenment tradition which has rejected Aristotelian view of the human condition, in particular Aristotelian virtue ethics and moral psychology. The consequences of this theoretical omission are considered in relation to the UN peacekeepers training and their misconduct during their service.

L’articolo si propone di analizzare la controversa questione di attribuzione di condotta per fatto internazionale illecito nell’ambito delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Il peculiare status delle forze di pace – che sono, al contempo, organi dello Stato mandatario e organi sussidiari delle Nazioni Unite – rendono l’attribuzione di condotta tra Stati e Organizzazione di difficile definizione. In mancanza di un’apposita disciplina convenzionale, l’essenziale riferimento normativo è il Progetto di articoli sulla responsabilità delle Organizzazioni internazionali della Commissione del Diritto Internazionale. L’articolo 7 DARIO (Draft Articles on the Responsability of International Organizations, 2011) stabilisce che la responsabilità per la condotta di un organo posto a disposizione di un’Organizzazione internazionale sia attribuita sulla base del test del “controllo effettivo”. Tale ipotesi, in assenza di specifiche indicazioni circa la sua interpretazione, ha incontrato notevoli difficoltà di applicazione nell’ambito delle operazioni di peacekeeping dirette dalla Nazioni Unite laddove si è dovuto determinare se la responsabilità per la condotta illecita perpetrata dalle forze di pace gravasse sullo Stato mandatario. Come si evince dall’analisi delle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani nei casi Behrami e Saramati e delle Corti olandesi nel caso HN v Paesi Bassi e nel recente caso Stiching Mothers of Srebrenica, la prassi giurisprudenziale relativa all’applicazione del test del controllo effettivo sulla condotta illecita perpetrata dalle forze di pace risulta non omogenea. Si evidenzia, dunque, la necessità di definire un’interpretazione di “controllo effettivo” che rifletta le modalità di comando e controllo delle operazioni e che permetta di superare l’ambiguità istituzionale delle forze di pace.

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