Cosa resta oggi del Discorso del Cairo di Obama, intitolato “Un nuovo inizio”, ora che una vasta area del Medio Oriente è stata trasformata in campo di battaglia, e intere generazioni di giovani desiderosi di cambiamento sono stati traumatizzati da ideologie fuorvianti e anni di combattimento? Rispondere a questa domanda implica mettere in discussione l'approccio dominante ai conflitti in corso, in particolare a quello siriano, in quanto fondato su categorie improprie e prospettive unilaterali. In quest'ottica, le riflessioni personali che seguono assumono come filo conduttore gli equivoci generati dal celebre dilemma gramsciano, tra essere partigiani o indifferenti. La “neutralità” rivendicata dagli abitanti del quartiere palestinese di Yarmouk a Damasco, oggi distrutto, verrà discussa come valida alternativa a questo dilemma. Se infatti nel contesto medio-orientale e siriano, in cui forze globali si scontrano per interessi economici e geopolitici, prendere una parte contro l'altra equivale spesso a divenire delle pedine nel gioco di altri, la neutralità può offrire il punto di partenza per cambiare paradigma.
In questo articolo si considerano i rapporti tra la malaria e gli eventi bellici che si sono susseguiti nei secoli, a dimostrazione che la malattia ha modellato il corso della storia. Dopo aver passato in rassegna gli episodi più significativi dell’era antica, si descrivono alcune situazioni particolarmente importanti come la battaglia di Walcheren (in cui Napoleone potrebbe avere sfruttato la malaria come arma biologica), la guerra civile americana e i due conflitti mondiali. Per quanto riguarda il secondo, é stata data enfasi alla cosiddetta “altra battaglia di Cassino”, espressione che indica la battaglia che fu intrapresa, verso la fine del conflitto, contro le zanzare vettori dell’infezione malarica. Quindi si é passati a esaminare il ruolo della malaria nella guerra di Corea e in quella del Vietnam. Quest’ultima ha avuto come effetto positivo l’impulso dato dal governo cinese agli studi per la messa a punto di nuovi farmaci anti-malarici, quali i derivati dell’artemisinina, di cui l’artesunato è il miglior farmaco di cui disponiamo oggi. Infine sono stati trattati i rapporti della malattia con le guerre più recenti, come quella in Afghanistan, e il possibile impatto della malaria sulla durata delle guerre civili.
Il tumore costituisce un evento traumatico della vita, che interrompe il normale corso dell'esistenza, minacciando e destabilizzando ogni dimensione identitaria del malato. Per questa ragione è necessario proporre un'elaborazione di questa esperienza negativa, spostando l'attenzione da una prospettiva centrata esclusivamente sulla malattia verso processi capaci di promuovere resilienza e opportunità di sviluppo e crescita positivi del paziente. L'uso della Medicina Narrativa in ambito oncologico consente di avviare un processo di formazione insieme al paziente, fondato su significati condivisi di salute e malattia, capace di essere di per sé terapeutico contribuendo al miglioramento o all'accettazione della patologia e delle terapie. La narrazione, costruita attraverso la tecnica del diario, non è un semplice "contenitore di eventi" ma assiste il paziente nel percorso di adattamento alla malattia, offrendogli uno spazio per esprimere, sviluppare, integrare e infine interiorizzare significati ed esperienze relative all'evento oncologico, riconoscendone il senso di momento critico nella propria memoria autobiografica.
Call for papers
Georg Simmel è tra i ‘padri’ fondatori della moderna teoria del conflitto, con lavori di stampo sociologico fortemente inspirati alla Lebenphilosophie (“filosofia della vita”) e alla connessa concezione dualistica dell’Io e della cultura (opposizione tragica tra Vita e Forma). Der Konflikt der modernen Kultur (1918) suggella questo percorso.
“Il conflitto non è là a bella posta per essere risolto” può essere considerato l’aforisma con cui Simmel concepisce una dialettica non conciliatoria in cui il polo negativo (Alter, il diverso, l’escluso, ecc.) svolge un ruolo solo a lui riservato: quello di dialogare con il polo positivo in condizione di complementarità. Non c’è una unità di partenza - una natura originaria buona o una pace romanticamente stabile che ad un certo punto verrebbe infranta e che, appianato il conflitto, sarebbe possibile ripristinare - bensì è il divenire della tensione tra gli opposti che produce una realtà comune. Individui, gruppi e istituzioni si costruiscono all'interno di una fitta “rete di conflitti” che produce continue “unità tra diversi”, a loro volta destinate a essere messe in discussione. Ne nasce la proposta teorica: il comune, la pace, si costruisce non eliminando solo la componente negativa (il male, l’egoismo, la diversità ecc.) o nell’incrementare unicamente la componente positiva (il bene, la carità, l’altruismo, sussidi materiali e/o economici, etc.), bensì attraverso la gestione di forze che allo stesso tempo sono sociative e dissociative, cooperative ed egoiste: il conflitto scorre negli ambiti più riposti e dà la materia sia alla vita individuale che collettiva ("il conflitto è la scuola dell’Io”). Sotto traccia il metodo simmeliano suggerisce di praticare una razionalità nonviolenta che miri a una ‘modica quantità di conflittualità’ o intolleranza, tale che venga preservato un tasso relativamente ‘sufficiente’ di pace o integrazione sociale.
Questa originale concettualizzazione, che dalla vita quotidiana investe l'intera società fino alle relazioni tra Stati, rispecchia la coscienza storica della transizione dall'epoca delle grandi certezze a quella attuale delle certezze infondate. E inaugura una terza via rispetto alle teorie-pivot della Pace positiva e della Pace negativa, consentendo di misurarne la forza esplicativa. Per la Teoria della Pace negativa il conflitto è da eliminare e, come mezzi adeguati allo scopo, volta a volta, si individuano la mediazione, i diritti, le riforme sociali, la carità o l’empatia. Qui incontriamo tutte le teorie della pace come assenza di guerra o violenza e quelle filosofie spiritualiste della pace che mettono l’armonia-stabilità a principio originario da ri-costruire o ri-scoprire (come dire che combattendolo, alla fine, il male dovrà riunirsi al bene: idea di guerra ‘giusta’, di purificazione o redenzione). Per la Teoria della Pace positiva il conflitto è un bene e per ciò stesso deve scoppiare: la pace è qualcosa da creare e la lotta è mezzo essenziale di cambiamento. Vi rientrano quelle teorie conflittualiste e le filosofie della pace il cui fine è di creare un’armonia a venire, un nuovo ordine (di coppia, sindacale, organizzativo, politico, etico, ecc.) che, utopisticamente, non viene esplicitato.
Alla luce di queste considerazioni, Scienza e Pace / Science and Peace invita studiosi di diverse discipline a inviare contributi che:
- mettano in evidenza disseminazioni e superamenti della “rete del conflitto”, con particolare attenzione ai conflitti inediti contemporanei (del quotidiano, di gruppo, politici, etici, ambientali, interculturali, religiosi, internazionali, ecc.) e al rapporto individualizzazione/società;
- ricostruiscano la genesi delle teorie di Simmel sul conflitto e la sua dialettica all'interno del contesto storico-politico, economico e culturale dell’autore.
Istruzioni per gli autori
Per partecipare al numero monografico, inviare all'Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. un contributo in italiano, spagnolo o inglese, nel rispetto delle norme editoriali della rivista, entro il 30 Aprile 2018. Il manoscritto sarà sottoposto ad un processo di revisione double-blind. Per ulteriori informazioni, contattare direttamente il guest editor del numero monografico, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Call for papers
Il tema della disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza è stato a lungo quasi ignorato dagli economisti e dagli scienziati sociali in genere, sebbene le disuguaglianze siano aumentate negli ultimi decenni sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Perfino gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite avevano ignorato la disuguaglianza, la cui riduzione viene considerata ora invece fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
La sottovalutazione del ruolo della disuguaglianza veniva giustificato con l'argomento che una maggiore equità economica rischia di ridurre gli incentivi delle persone ad operare con la giusta dose di sforzo per migliorare la propria situazione, riducendo così l’efficienza del sistema economico. Negli ultimi anni, però, studiosi come Stiglitz, Atkinson, Deaton, Krugman, Bourguignon, Piketty, Wade e Milanovic e istituzioni internazionali come l’OECD e l’IMF, oltre a varie ONG come OXFAM (che tuttavia già da tempo se ne occupa, insieme ad alcuni degli autori sopra ricordati) hanno dedicato interi volumi a questo tema.
La ragione di tale rinnovata attenzione sta nella consapevolezza delle conseguenze drammatiche che questo fenomeno ha avuto nel passato e nel timore di quelle che potrebbe avere ancora di più in futuro, in termini di conflittualità diffusa e disgregazione sociale.
Al di là delle ragioni etiche, infatti, la disuguaglianza economica riduce il capitale sociale di un paese, cioè indebolisce il senso di appartenenza e di condivisione, e rischia di essere accompagnata da un aumento della povertà. Le conseguenze ultime sono quelle di una riduzione del potenziale di sviluppo economico anche e soprattutto dei paesi che ne avrebbero più bisogno. Un aumento della disuguaglianza economica, inoltre, induce un eccesso di indebitamento, con i rischi che ne conseguono, come ha dimostrato in maniera eloquente la recente crisi finanziaria.
L’aumento della disuguaglianza economica è dovuto a ragioni diverse che vanno però tutte a danno dei lavoratori meno specializzati e dei segmenti della popolazione caratterizzati da minore reddito: il processo di globalizzazione reale e finanziaria (che ha spostato il lavoro manuale da una parte all’altra del mondo e aumentato il peso delle rendite), il progresso tecnologico (che ha aumentato il ruolo dei macchinari e del capitale rispetto al lavoro), ma anche la riduzione, se non l’abbandono da parte di molti governi, delle politiche di redistribuzione del reddito e di tutela del lavoro.
Da più parti si propongono soluzioni diverse per ridurre le diseguaglianze, fra cui: una tassazione globale sui movimenti di capitale o una (bassa) tassa globale sulla ricchezza, combinata con un ritorno alla progressività della tassazione dei redditi (che fino agli anni 70 non impedì, del resto, gli alti tassi di crescita dei paesi sviluppati); una tassazione dell’impiego di macchinari (e robot) che sostituiscono il lavoro umano; un aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro (purché non discriminate da salari più bassi di quelli degli uomini); una riduzione del lavoro precario e l’aumento dell’investimento in capitale umano e della qualificazione dei lavoratori.
Alla luce del quadro delineato, Scienza e Pace / Science and Peace intende dedicare una sezione monotematica del prossimo numero alla disuguaglianza economica, rivolta ad economisti, giuristi, scienziati della politica e scienziati sociali ed incoraggia quindi la sottomissione di articoli dedicati alle cause, alle conseguenze e alle possibili strategie di riduzione del fenomeno. Solo a titolo esemplificativo, la disuguaglianza può avere conseguenze su crescita economica, mobilità sociale, migrazioni interne e internazionali, servizi sociali, corruzione, ambiente, democrazia e può anche determinare crisi finanziarie ed economiche. Va da sé che tutto questo potrà determinare proteste a livelli ed intensità diverse e la formazione di movimenti sociali che propongono cambiamenti del modello economico dominante.
La rivista invita economisti, giuristi, scienziati politici e sociali a sottomettere articoli dedicati all’analisi delle cause e delle conseguenze della disuguaglianza economica da tutti i possibili punti di vista, ma specialmente concentrandosi sulle implicazioni per la pace, i conflitti e le crisi di diversa natura, insieme alle proposte miranti ad affrontare e contenere questo problema.
Istruzioni per gli autori
Per partecipare alla call for papers inviare un abstract di massimo 300 parole, bibliografia di riferimento esclusa, all'e-mail del Comitato Editoriale (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.) entro il 15 ottobre 2017.
Scienza e Pace / Science and Peace organizza anche una conferenza l’1 Dicembre 2017 con gli autori che avranno sottomesso gli abstracts e che saranno stati ritenuti idonei dal comitato editoriale. Un primo draft del lavoro dovrebbe essere disponibile per quella data. Qui è disponibile il programma della conferenza.
La notifica di accettazione agli autori sarà data entro l’1 Novembre 2017.
Un numero speciale di Scienza e Pace / Science and Peace sarà dedicato al tema della conferenza/tavola rotonda e includerà gli articoli presentati alla conferenza e quelli che comunque saranno sottomessi entro il 6 Gennaio 2018. I papers dovranno seguire le norme editoriali della rivista.
Alla conferenza le presentazioni potranno essere svolte anche in italiano (sebbene sia preferibile l’inglese, vista la possibile presenza di partecipanti stranieri). I papers da sottomettere potranno senz’altro essere scritti anche in italiano.
Dopo una riflessione sul significato sociale, culturale e politico che il plurilinguismo assume oggi, nel contesto italiano e in quello europeo, e sulla necessità di garantire il diritto al plurilinguismo agli alunni delle classi multietniche, anche alla luce dei recenti flussi migratori, l'articolo presenta i risultati di una sperimentazione didattica, ancora in corso, finalizzata a valutare la validità di un insegnamento plurilingue in contesti scolastici di superdiversità linguistica e culturale. L'approccio utilizzato, basato su tecniche dialogiche, mira sia ad arricchire il repertorio linguistico degli alunni e a rendere più efficace la valutazione delle loro competenze linguistiche e comunicative, attraverso test plurilingui, sia a dare visibilità riconosciuta a tutte le lingue presenti in classe e a facilitare la comunicazione interculturale.
The intent of my research was to explore young Italian people’s responses to some war-related aspects in a selected picturebook. I adopted a qualitative case study approach in order to investigate the extent to which the interviewees were aware of the theme of moral responsibility in Rosa Bianca by Roberto Innocenti. I used a sample composed of young people without personal experience of war and young people with more direct experience of it, having a parent who has been serving in armed conflict situations. Indeed, I also wished to inquire into whether there were any differences in the responses given by the two categories of young people. After an initial analysis of the picturebook and a description of my sample, the ethical concerns and the processes followed in the data collection and analysis stages, I provide the reader with a detailed discussion of the data gathered. Data analysis shows that not all the young people interviewed are aware of the significant issue of moral responsibility. Personal attitudes and experience might explain this result. Indeed, the young people’s culture, knowledge and experience often emerge from their responses. In particular, the army children’s replies show aspects of their military backgrounds, as well as some of their preoccupations related to their fathers’ jobs. However, all the young people in my study show an aversion to the use of force and to the extreme means of war. Moreover, to some extent, all of them prove to be sophisticated readers of visual texts.
Si cercherà di mostrare come la democrazia ateniese fosse sostenuta da un sistema politico altamente istituzionalizzato che si realizzò tramite l’estensione della partecipazione e l’elaborazione di procedure del confronto pubblico in grado di equilibrare la potenzialità della decisione collettiva e l’originalità della proposta individuale. Quest’opera di bilanciamento si fondava su un discorso politico innervato e arricchito dall’impiego istituzionale della retorica. Caduta ad Atene nel 322 a.C., ancora verso la fine del 1700 la democrazia greca non era considerata un esempio edificante di costituzione. Più recentemente, di fronte alle ricorrenti crisi di rappresentatività politica, si è tornati a invocare il valore della sua caratteristica di governo diretto e radicale. Tuttavia, per liberare l’origine della democrazia dall’aura del miraggio e comprenderne l’eredità, è forse possibile tracciare un filo rosso tra il senso della cittadinanza democratica in Grecia e la nascita dell'opinione pubblica tra '600 e '700, là dove Habermas colloca il risveglio dei principi democratici in epoca moderna e individua il fondamento linguistico di una cittadinanza post-convenzionale.
Oggi in Italia si sta avviando la prima sperimentazione di corpi civili di pace: un traguardo importante, con un significato storico sicuramente innegabile. Nonostante ciò, sono varie le organizzazioni che già da anni propongono interventi nonviolenti in paesi dove sono in corso conflitti o processi di pacificazione, tra queste Peace Brigades International (PBI). PBI apre il suo primo progetto sul campo in Guatemala nel 1983, nel pieno di una guerra civile che stava vivendo gli anni più tragici. Dall'inizio della dittatura del colonnello Rios Montt incomincia, infatti, il periodo detto della “tierra arrasada”, in cui vengono letteralmente rasi al suolo interi villaggi indigeni, fino a giungere a ciò che è oggi conosciuto come il genocidio maya. Insieme a PBI, in quegli anni, arrivarono in Guatemala altre organizzazioni internazionali che, stimolando l'interesse della comunità internazionale rispetto alla situazione del paese, progressivamente riuscirono a favorire l'apertura di spazi per la pace.
Nella Carta delle Nazioni Unite non vi è alcun riferimento esplicito alle armi nucleari, ma la loro esistenza e la recente distruzione di Hiroshima e Nagasaki incombevano sugli estensori della Carta. E certamente a tali armi anzitutto ci si riferisce al punto 4 dell’articolo 2 quando si proibisce la minaccia dell’uso della forza e al punto 1 dell’articolo 11 in cui si affida all’Assemblea Generale il compito di considerare i principi governanti il disarmo e la regolamentazione degli armamenti. Di fatto, la primissima risoluzione dell’Assemblea Generale, il 24 gennaio 1946, riguarda appunto la creazione di una “Commissione allo scopo di affrontare i problemi generati dalla scoperta dell’energia atomica”. In particolare si richiedeva alla Commissione di procedere con la massima celerità a esaminare tutti gli aspetti del problema e a fornire proposte specifiche per: a. estendere a tutte le nazioni lo scambio delle informazioni scientifiche di base, a scopi pacifici; b. controllare l’energia atomica per assicurarne l’impiego per soli scopi pacifici; c. eliminare le armi nucleari dagli arsenali nazionali; d. creare salvaguardie efficaci per garantire la protezione degli stati da evasioni o violazioni.