Call for papers / Federico Oliveri

The IRA: The Irish Republican Army è un libro interessante, tenta un'analisi sociologica oltre che storica e politica del gruppo terrorista che probabilmente ha guidato il mondo nel terrorismo moderno. Ciò, naturalmente, può causare alcune polemiche proprio perché tenta di analizzare piuttosto che fornire un resoconto narrativo dell'IRA. Come tale suggerisce uno stile leggermente più antico di quello che i postmodernisti o accademici politicamente corretti apprezzerebbero e certamente lo colloca nel campo "revisionista" degli studi irlandesi che cerca di analizzare criticamente il movimento applicando un metodo scientifico, in alternativa agli anti-revisionisti che si oppongono agli studi irlandesi "scientifici" e cercano di mantenere la tradizionale narrativa nazionalista (Brady 1995; Boyce & O'Day 1996). [...]

 

Il vibrante appello contro la guerra di Jean Jaurès costituisce non solo l'eredità politica che il padre della Section Française de l'International Ouvrière lascia ai socialisti, ma anche un fremente messaggio rotto dal precipitare degli eventi. “L'Armèe Nouvelle”, la vigorosa opposizione della SFIO alla “loi de trois ans”, la riflessione sulle guerre balcaniche, sulla diplomazia, sull'imperialismo colonialista, sull'Internazionale: il ruolo del deputato di Tarn unisce nell'analisi delle vicende storiche la democrazia francese al pensiero al movimento socialista. A un secolo dallo scoppio della Grande Guerra e dall'omicidio del fondatore della SFIO, la Fondation Jean Jaurès ha raccolto riflessioni che consentono una disamina ampia del suo pensiero. Liberté ed égalité poggiano sul patriottismo repubblicano della défense nationale o su un più laborioso ordine internazionale improntato al disarmo? Il saggio intende far luce sugli elementi della democrazia repubblicana francese rievocati dalle riflessioni di Jaurès, individuando i fatti storici prodotti dalla mobilitazione del padre della SFIO. La rappresentazione fornita da Jaurès circa le dinamiche dei conflitti, infine, comprende suggestioni funzionali alla politica estera del nostro tempo o va chiusa in toto nel contesto della crisi che prepara la Guerra Mondiale?

Il commosso ricordo che si rinnova di anno in anno della distruzione atomica di Hiroshima e della strage dei suoi abitanti segna in realtà il fallimento della comunità internazionale a risolvere il problema delle armi nucleari; in 70 anni non si è riusciti non solo a eliminarle, ma neppure a definire una convenzione internazionale che ne proibisca l’uso e tanto meno a bloccarne lo sviluppo e la proliferazione. Dal 1945 in poi hanno via via creato arsenali nucleari Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan, Sud Africa e Corea del Nord e solo il Sud Africa è ritornato sui suoi passi. E la diversificazione delle armi nucleari e il loro numero sono cresciuti fino a raggiungere quasi 70 000 armi nei primi anni 80, un numero mostruoso e assolutamente privo alcun senso politico e militare. [...]

L'articolo analizza i costi umani e le sofferenze causate da conflitti armati e violenze e loro conseguenze sul diritto alla vita. Le Nazioni Unite sono state create per salvare le generazioni future dal flagello della guerra. In particolare, in un contesto di conflitto l'arbitraria privazione della vita, le uccisioni di massa e i genocidi sono pratica comune. Per questo si studierà il collegamento tra il Consiglio di Sicurezza e il Consiglio per i Diritti Umani intorno alla nozione di vita come diritto fondamentale e alla protezione di tale diritto nella pratica internazionale. Inoltre si analizzerà il nesso tra pace, giustizia e vita. In particolare verrà studiata la responsabilità per genocidi, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e altri crimini gravi tenendo in considerazione la forte opposizione ad ammettere l'impunità. In conclusione sarà analizzata la prevenzione di conflitti armati attraverso la promozione e la protezione di tutti i diritti umani per tutti, con particolar attenzione al diritto alla vita, sia nel Consiglio di Sicurezza che nel Consiglio per i Diritti Umani. 

Tzvetan Todorov dedica il suo straordinario La Conquête de l’Amérique. La question de l’autre alla memoria di una donna maya massacrata dai cani, per aver rifiutato di diventare schiava e oggetto di un conquistador spagnolo del XVI secolo. Una donna senza nome, senza volto, senza individualità. Completamente spersonalizzata, come una figura di carta, senza consistenza, senza passato, senza futuro. Diego de Landa, nella sua Relazione sullo Yucatán, regione della quale era stato nominato vescovo, non ritiene importante riportarne l’identità, mentre documenta bene il nome del capitano che l’aveva fatta prigioniera. Eppure la questione del nome non è affatto banale, dal momento che esso è legato profondamente all’identità e condensa in sé tradizione, storia e cultura. In una lettera all’imperatore Carlo V, Pascual de Andagoya testimonia il trauma identitario degli indios, che, una volta battezzati e ricevuto il loro nuovo nome cristiano, non vogliono più essere chiamati con quello precedente. Spesso, però, non ricordano il nome che è stato loro imposto e devono quindi farselo dire dagli stessi conquistadores. [...]

La ricerca dell’umanità che scaturisce dall’orrore della Grande guerra e la prospettiva storica della disfatta di Caporetto emergono con forza dalla testimonianza di un combattente, Mario Puccini, autore di Caporetto. Note sulla ritirata di un fante della III Armata, uscito a cura di Francesco De Nicola, per la Editore Goriziana nel 1987. Le vicende di vita e di morte sul fronte italiano nel 1917, durante la disfatta italiana per mano delle forze austro-ungariche e tedesche, sono rappresentate in questo romanzo poco noto attraverso la storia esemplare di un giovane scrittore (considerato uno dei maggiori rappresentanti letterari del primo Novecento e autore del celebre Il soldato Cola). Gradualmente, a contatto con la vita di trincea e con la morte di migliaia di soldati, la prospettiva critica dell’“inutile strage” e del desiderio di pace si fanno strada nelle pagine di Mario Puccini, tanto da farne un documento interessante per comprendere come l'esperienza della Grande Guerra abbia reso meno eroico e inevitabile il ricorso alle armi per il 'progresso' storico e la risoluzione dei conflitti.

La Grande guerra è stata anche un conflitto industriale in cui la qualità e la quantità della produzione a uso bellico hanno contribuito a sancire la vittoria finale. Tra il 1915 e il 1918 l’industria nazionale è stata infatti chiamata dallo Stato a fornire alle truppe enormi quantitativi di armi, munizioni e servizi di ogni genere. Si è così originato un costo della guerra stimato in circa 148 miliardi di lire, cifra che tuttavia non sempre risulta essere stata spesa correttamente ma in parte generata da truffe e speculazioni. Si tratta di un aspetto del primo conflitto mondiale legato all’organizzazione della produzione industriale , a sua volta organizzata dagli uffici della Mobilitazione Industriale, il cui operato ha permesso un’importante crescita produttiva ma allo stesso tempo ha portato a un nuovo tipo di rapporto tra industria e politica , da alcuni definita una “ventata statalista”. Questo lavoro, trascurando i temi più tradizionalmente legati agli aspetti militari della guerra (strategia, diserzioni, comportamento della truppa e operato dei generali), vuole contribuire allo studio della critica rivolta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra (d’ora innanzi Commissione) all’organizzazione della Mobilitazione Industriale e, soprattutto, al comportamento degli industriali che hanno approfittato del conflitto per arricchirsi illecitamente.

La rilettura in prospettiva storica degli eventi che hanno determinato il tragico svolgimento della Prima Guerra Mondiale e, in quel frangente, le controversie e le problematiche del movimento per la pace in Italia, costituiscono un cimento, al tempo stesso, esigente ed ineludibile, per almeno tre ordini di ragioni. In primo luogo, si avverte l'esigenza di contrastare la tirannia dell'immanenza, il bisogno di coordinare «fatti anche lontani», congiungere «i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico», ristabilire «la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia ed il mistero», mettendo in luce il carattere non episodico delle grandi questioni della guerra e della pace ed il profilo di lunga durata di processi e fenomeni che si vengono poi articolando nei modi più svariati. In secondo luogo, contrastando la tendenza a leggere i fenomeni storici nella chiave limitante della stringente attualità, si tratta di offrire una prospettiva di più ampio respiro al lavoro di pace, al di là ed oltre l'orizzonte, simbolicamente potente ma temporalmente angusto, della ricorrenza del centenario, così da mettere a disposizione di ricercatori ed operatori una panoramica meglio definita ed una cornice più adeguata.

Nel mezzo di una crisi economica planetaria, acutizzata da forti livelli di conflittualità internazionale e da vari tipi di terrorismo, è accaduto un fatto inaspettato: la volontà formale di ristabilire le relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Cuba. La notizia è stata resa pubblica il 17 dicembre 2014 dagli stessi Presidenti Barak Obama e Raúl Castro, dopo poco più di mezzo secolo dal ‘embargo’ economico, commerciale e finanziario che il governo nordamericano aveva imposto a Cuba e che negli Anni ’90 era stato rafforzato con le Leggi Torricelli (1992) e Helms-Burton (1996). Una vera sorpresa, dato l’insuccesso di precedenti contatti, appena del 2011, diretti a negoziare la liberazione di Alan Gross (ingaggiato dall’Agenzia per lo Sviluppo delle Relazioni Internazionali per installare una rete di telecomunicazioni illegali a Cuba).

Stando all’autorevole Enciclopedia Treccani, i diritti sociali sarebbero quell’insieme di facoltà riconosciute dalla legge ai lavoratori nei confronti del datore di lavoro, anche con riferimento alla correttezza delle relazioni industriali; oppure, in senso più ampio, il complesso delle tutele e dei servizi erogati dallo Stato e dagli enti locali al fine di garantire una rete di protezione sociale, e dunque il welfare in tutte le sue articolazioni principali. È proprio da questo controverso perimetro che parte l’analisi concettuale di Thomas Casadei. Essa rappresenta – come del resto indica molto bene il sottotitolo – un percorso filosofico-giuridico in un ambito più complesso di quel che si possa pensare in prima istanza. 

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