Call for papers / Federico Oliveri

Dalla fine della Guerra Fredda stiamo assistendo all'emergenza di nuovi tipi di conflitti. I conflitti sembrano essere sempre più complessi e ancora troppo spesso vengono affrontati in modo semplicistico, usando un tipo di ragionamento lineare. La complessità viene ignorata e la necessità di un pensiero sistemico viene sottovalutata, portando spesso a risultati disastrosi. Il feedback viene spesso ignorato, ma, cosa più importante, le dinamiche complesse che fanno cambiare un conflitto nel tempo, seguendo percorsi difficili da prevedere, vengono raramente prese in considerazione. È necessario passare da una mentalità pre-complexity a una più complessa. Nel documento, anche attraverso esempi concreti, cercheremo di mostrare come un approccio di Systems Thinking sia essenziale per analizzare il conflitto di oggi, per prevenirli e agire in tal modo da farli sviluppare lungo percorsi costruttivi non violenti piuttosto che lungo quelli violenti distruttivi.

Questo documento si propone di esaminare come le conversazioni politiche avvengono sugli strumenti digitali offerti come parte del Digital Participatory Budget (OPD) a Belo Horizonte (Brasile). Gli autori propongono un modello analitico basato su teorie deliberative per indagare le discussioni su questo programma partecipativo. L'esempio principale è costituito dai messaggi inviati dagli utenti (n = 375) nella sezione commenti. I risultati mostrano che la reciprocità e la riflessività tra gli interlocutori sono rari; tuttavia, il rispetto tra i partecipanti e i livelli di giustificazione in diversi argomenti erano alti durante la discussione. Gli autori concludono che, anche in una situazione in cui non vi è alcun potenziamento degli strumenti digitali, Internet può effettivamente fornire ambienti per migliorare uno scambio discorsivo qualificato. Nonostante i bassi livelli di deliberatività, il case study mostra che ci sono importanti guadagni riguardo l'apprendimento sociale tra i partecipanti.

Il diritto all’acqua può essere considerato come la ‘cerniera’ concettuale che lega gli attualissimi dibattiti giuridici, politici ed economici, sull’acqua come bene e sui servizi idrici. Nel primo paragrafo del saggio viene presentata una breve ricognizione dell’emersione della nozione di diritto all’acqua. Nel secondo paragrafo viene sviluppata una riflessione critica tesa a dimostrare, alla luce dell’adesione alla teoria giuridica dei beni comuni, la necessità di una qualificazione autonoma ed ecologica del diritto all’acqua. Tale qualificazione avrebbe un’incidenza significativa e diretta sia nella discussione sugli assetti proprietari del bene-acqua, sia – soprattutto – nella scelta tra diversi modelli di servizio idrico.

Il presente documento suggerisce che la vita innovativa di Gandhi rappresenta l'inizio di tre riforme, della tradizione religiosa, dell'etica e della politica. La loro comune novità storica era la loro natura universale. Queste riforme divennero evidenti nelle loro azioni da parte del suo discepolo occidentale, Lanza del Vasto, che le promosse da una rappresentazione prevalentemente soggettiva a una rappresentazione strutturale. Sono state riconosciute due linee guida in tutte queste riforme; nel caso della riforma politica definiscono uno su quattro modelli di sviluppo, cioè la nozione di base della teoria politica della non violenza. La mancanza di queste nozioni teoriche nel pensiero di Gandhi spiega la sua drastica attitudine nel dipingere attraverso Hind Swaraj la civiltà occidentale come una civiltà semplicemente malvagia, così come alcuni altri punti delle riforme sopra menzionate che ancora non sono state raggiunte.

La laicità è idea moderna. Con la modernità condivide sia la matrice universalistica, sia la realizzazione storica localistica. La trasformazione in senso multiculturale delle società impone però una de- culturalizzazione o delocalizzazione del lessico laico. Esso deve aprirsi a una differenza di caratura antropologica, che vede la religione quale agenzia di produzione di senso all’interno delle diverse culture agite dagli individui. La realizzazione di una laicità interculturale rappresenta la chiave per assicurare la sintonizzazione degli ideali regolativi del pensiero laico con le effettive esigenze di uguaglianza presenti all’interno delle contemporanee società democratiche. Marcare questo obiettivo impone un’agenda complessa e difficile da rispettare. La sfida però è necessaria, anzi ineludibile. Perderla porrebbe il suggello all’inevitabilità di una laicità, e quindi di una soggettività giuridica e democratica asimmetrica, tracollo di ogni ideale universalista, ancorché declinato con modestia culturale. Solo una critica costruttiva della modernità può evitare una sconfitta in grado di compromettere la stabilità e la pace sull’interno pianeta. Un luogo, anzi un macro-luogo, segnato indelebilmente dalla modernità e che a partire da essa deve sapere inventare il lessico per immaginare il proprio futuro. Il diritto interculturale rappresenta la rotta suggerita in questo saggio verso un domani già in atto.

Che cosa si intende con Open Government e Open Data? Quali sono le caratteristiche dei Linked Open Data? L'articolo si propone di rispondere a queste domande ricostruendo in primo luogo il passaggio dal cosiddetto e-Government all'Open Government, nato assai di recente in ambito anglosassone, per concentrarsi in secondo luogo sulla definizione giuridica e tecnica di Open (Government) Data, per concludere, infine, con un'analisi delle conseguenze che l'adozione di un paradigma basato sui Linked Open Data (LOD) può avere, in termini di trasparenza amministrativa e di sostegno ai modelli di cittadinanza attiva.

Quando si parla di politica, a qualsiasi livello, si fa generalmente una distinzione istintiva fra ciò che è di interesse pubblico, collettivo, e ciò che costituisce il privato, la sfera individuale e finanche intima di ciascuno. Allo stesso modo, quando l'oggetto del discorso è internet – ed in particolare il sottoinsieme dei suoi nodi che costituiscono il cosiddetto world wide web, la “tela grande quanto il mondo” (Gallino 2000) – uno dei primi concetti che vi si associa è quello di 'virtuale', non tanto nel senso di 'irreale', quanto piuttosto nell'accezione di una diversa sfumatura di realtà, contrapposta a ciò che è fisico, concreto, tangibile. Tuttavia, se proviamo ad analizzare la pratica della politica e quella dell'uso di internet, vediamo i concetti mescolarsi, le dicotomie assumere un aspetto meno rigido, scivolare insensibilmente le une nelle altre, in uno spazio dai contorni indefiniti dove i bisogni individuali possono assumere l'aspetto di interessi comuni e viceversa, le discussioni meramente telematiche avere delle ricadute concrete e gli episodi concreti dare origine a dibattiti virtuali, in un muoversi incessante dall'uno all'altro polo. Tutto ciò assume un aspetto evidente quando le due aree si intersecano, e si prova a ragionare sull'uso politico del web nelle sue varie sfaccettature, avendo come punti di riferimento proprio le coppie 'pubblico/privato' e 'virtuale/reale', attraverso le quali tentare di avvicinarsi a quell'entità indefinibile, priva di confini e caratteristiche precise, e tuttavia politicamente sempre più rilevante, che è oggi nota come ‘popolo della rete’. Chiedendosi anche come l'intreccio tra politica e web influisca sul concetto di partecipazione politica nelle società contemporanee. [...]

Le ultime settimane del 2011 sono state fondamentali per la democrazia in Medio Oriente, come illustrato dagli sviluppi in diversi paesi. Nello Yemen, Ali Abdullah Saleh ha firmato un accordo per rinunciare al potere, anche se deve ancora mantenere questo impegno ripetuto; in Bahrain, il governo ha accettato i risultati di un rapporto sui diritti umani; in Egitto, migliaia di persone hanno dimostrato di reclamare la loro rivoluzione; e in Tunisia, Egitto e Marocco, si sono svolte le elezioni parlamentari, le prime dall'ondata di proteste che ha iniziato a spazzare il mondo arabo nel dicembre 2010.
L'esperienza del Marocco nel contesto di queste tendenze a livello regionale è stata distintiva come quella di qualsiasi altro paese arabo. Nel 2011 anche il Marocco è stato caratterizzato da proteste popolari che chiedevano cambiamenti governativi e riforme costituzionali (vedi "The Moroccan exception, and a king’s speech", 11 marzo 2011 su Open Democracy). [...]

È proprio vero, come sostengono polemicamente alcuni studiosi, che “se consideriamo la riflessione accademica, ma anche l’universo del discorso giornalistico, di quello politico, di quello quotidiano e di senso comune, ci accorgiamo che la tanto sbandierata novità delle reti finisce di fatto per dare luogo a nulla di più che un’appendice alle vecchie chiacchiere sui mass media” (Paccagnella, 2002, pp. 95-96)? Era il 1964 quando Umberto Eco pubblicava il suo famoso saggio sugli «apocalittici» e gli «integrati», ossia sulle due linee di pensiero che vedevano nel diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa (radio e soprattutto televisione) due tendenze evolutive opposte: i primi ne denunciavano la portata negativa, i secondi ne esaltavano quella positiva. Entrambe le posizioni però, malgrado gli assunti diametralmente opposti, condividono secondo Paccagnella una medesima concezione dell’utente come “soggetto passivo”, che tende a subire o effetti negativi o effetti positivi a prescindere dalla sua “volontà”. Tuttavia la televisione, la radio e oggi internet sono solo degli “strumenti”, ossia non hanno di per sé un senso, a meno che non sia l’utente ad attribuirgliene uno. E questo perché “il fruitore dei media non è una semplice spugna che si limita ad assorbire il flusso comunicativo a cui viene esposta, ma costruisce attivamente il senso e il significato dei messaggi fino ad arrivare a poter essere considerato un co-autore della comunicazione” (Paccagnella, 2002, p. 100). [...]

Non li vediamo, non li sentiamo, non emanano cattivi odori eppure sappiamo che i campi elettromagnetici ci sono. Non è necessario scomodare Sherlock Holmes per accorgersi della loro presenza. Ne abbiamo le prove. Sono sufficienti, ad esempio, i telefoni cellulari che comunicano tra loro senza alcuna connessione via cavo. Ci basta pensare alle radio o ai telefoni cordless per intuire una presenza invisibile e, proprio per questo, più inquietante. Da sempre, infatti, l'essere umano è spaventato da ciò che non vede. Il buio, ancora oggi, nonostante ogni sforzo razionale, incrementa la nostra percezione del pericolo. Non per il buio in sé, ma per l'impossibilità di usare a pieno le capacità del nostro apparato visivo.
Sappiamo, dunque, che i campi elettromagnetici esistono: occorre tenerne conto, come di un risvolto inevitabile della sempre maggiore connettività e dell’intensificazione globale delle comunicazioni proprie della società contemporanea. Ma come facciamo a distinguere i diversi campi, ad esempio, quelli potenzialmente dannosi e quelli innocui? Se non li vediamo, come facciamo a sapere quali sono le fonti di rischio? Partiamo da una semplice constatazione: viviamo in un mondo immerso in campi elettromagnetici, sia in ambienti domestici che lavorativi attraversati da reti di telefonia mobile, reti wireless, segnali radio e TV, segnali satellitari, elettrodotti, ecc. Ormai sembra raro trovare zone “elettrosmog free”. E allora come dobbiamo comportarci? [...]

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