Call for papers / Federico Oliveri

La Grande guerra è stata anche un conflitto industriale in cui la qualità e la quantità della produzione a uso bellico hanno contribuito a sancire la vittoria finale. Tra il 1915 e il 1918 l’industria nazionale è stata infatti chiamata dallo Stato a fornire alle truppe enormi quantitativi di armi, munizioni e servizi di ogni genere. Si è così originato un costo della guerra stimato in circa 148 miliardi di lire, cifra che tuttavia non sempre risulta essere stata spesa correttamente ma in parte generata da truffe e speculazioni. Si tratta di un aspetto del primo conflitto mondiale legato all’organizzazione della produzione industriale , a sua volta organizzata dagli uffici della Mobilitazione Industriale, il cui operato ha permesso un’importante crescita produttiva ma allo stesso tempo ha portato a un nuovo tipo di rapporto tra industria e politica , da alcuni definita una “ventata statalista”. Questo lavoro, trascurando i temi più tradizionalmente legati agli aspetti militari della guerra (strategia, diserzioni, comportamento della truppa e operato dei generali), vuole contribuire allo studio della critica rivolta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra (d’ora innanzi Commissione) all’organizzazione della Mobilitazione Industriale e, soprattutto, al comportamento degli industriali che hanno approfittato del conflitto per arricchirsi illecitamente.

La rilettura in prospettiva storica degli eventi che hanno determinato il tragico svolgimento della Prima Guerra Mondiale e, in quel frangente, le controversie e le problematiche del movimento per la pace in Italia, costituiscono un cimento, al tempo stesso, esigente ed ineludibile, per almeno tre ordini di ragioni. In primo luogo, si avverte l'esigenza di contrastare la tirannia dell'immanenza, il bisogno di coordinare «fatti anche lontani», congiungere «i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico», ristabilire «la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia ed il mistero», mettendo in luce il carattere non episodico delle grandi questioni della guerra e della pace ed il profilo di lunga durata di processi e fenomeni che si vengono poi articolando nei modi più svariati. In secondo luogo, contrastando la tendenza a leggere i fenomeni storici nella chiave limitante della stringente attualità, si tratta di offrire una prospettiva di più ampio respiro al lavoro di pace, al di là ed oltre l'orizzonte, simbolicamente potente ma temporalmente angusto, della ricorrenza del centenario, così da mettere a disposizione di ricercatori ed operatori una panoramica meglio definita ed una cornice più adeguata.

Nel mezzo di una crisi economica planetaria, acutizzata da forti livelli di conflittualità internazionale e da vari tipi di terrorismo, è accaduto un fatto inaspettato: la volontà formale di ristabilire le relazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Cuba. La notizia è stata resa pubblica il 17 dicembre 2014 dagli stessi Presidenti Barak Obama e Raúl Castro, dopo poco più di mezzo secolo dal ‘embargo’ economico, commerciale e finanziario che il governo nordamericano aveva imposto a Cuba e che negli Anni ’90 era stato rafforzato con le Leggi Torricelli (1992) e Helms-Burton (1996). Una vera sorpresa, dato l’insuccesso di precedenti contatti, appena del 2011, diretti a negoziare la liberazione di Alan Gross (ingaggiato dall’Agenzia per lo Sviluppo delle Relazioni Internazionali per installare una rete di telecomunicazioni illegali a Cuba).

Stando all’autorevole Enciclopedia Treccani, i diritti sociali sarebbero quell’insieme di facoltà riconosciute dalla legge ai lavoratori nei confronti del datore di lavoro, anche con riferimento alla correttezza delle relazioni industriali; oppure, in senso più ampio, il complesso delle tutele e dei servizi erogati dallo Stato e dagli enti locali al fine di garantire una rete di protezione sociale, e dunque il welfare in tutte le sue articolazioni principali. È proprio da questo controverso perimetro che parte l’analisi concettuale di Thomas Casadei. Essa rappresenta – come del resto indica molto bene il sottotitolo – un percorso filosofico-giuridico in un ambito più complesso di quel che si possa pensare in prima istanza. 

Contemporary Europe is not anymore characterized by traditional National-State borders, but rather by new borders within National-State borders. These new borders arise by cultural, ethnic and religious identity claimed by national and non-national citizens who live in the same public space. Therefore, these new borders are not territorial borders, such as those, which divide a state from another, but rather identitaries borders. Though territorial borders still exist, nowadays Europe sees the process of the national state border’s weakening and of the strengthening of the identitaries borders within states. This process is very linked to globalization, which on the one hand, has brought to the overcoming territorial borders and, on the other hand, has made the local dimensions stronger.

 

"Economic Inequality: crises, conflicts and threats for peace" è una conferenza internazionale interdisciplinare, organizzata congiuntamente dalla rivista online "Scienza e Pace - Science and Peace", dal Centro Interdisciplinare "Scienze per la Pace" e dal Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Pisa. La conferenza si terrà a Pisa, il 1 Dicembre 2017, presso l'Aula Magna del Dipartimento di Economia e Management e si svolgerà in inglese. Qui è disponibile la mappa per raggiungere il luogo dell'evento.

Non ci sono costi di registrazione. Tuttavia, per facilitare gli organizzatori, si prega si annunciare la propria partecipazione inviando una email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Draft Conference Programme

 

9:00 – 9.15 Welcome addresses

Silvio Bianchi Martini, Dean of the Department of Economics and Management
Enza Pellecchia, Director of the Sciences for Peace Interdisciplinary Centre
Pompeo Della Posta, Editor of Scienza e Pace – Science and Peace


I Part – The general context

9:15 - 9:45 Pompeo Della Posta (Università di Pisa)
An introduction: economic inequality, economic theory and social capital

9:45 – 10:15 Pascal Petit (Université Paris 13)
Is the systemic rise in income inequality likely to reverse and for which reasons?

10:15 – 10:45 Roberto Burlando (Università di Torino)
Economic inequality and the economic and cultural divides of our time

10:45 – 11:00 Coffee Break


II Part - Some aspects of economic inequality

11:00 – 11:30 Indra de Soysa (Norwegian University of Science and Technology, Trondheim, Norway)
Social Exclusion and Civil Violence

11:30 – 12:00 Maurizio Franzini (Università La Sapienza, Roma)
Economic inequality and social immobility: a vicious circle?

12:00 – 12:30 Stefano Bartolini (Università di Siena)
Envying alone. Social poverty as an engine of social comparisons and unhappiness

12:30 – 13.00 Discussion and roundtable

13:00 – 14:30 Lunch Break


III Part – Some specific country cases

14:30 – 15:00 Habibul Khondker (via Skype) (Zayed University, United Arab Emirates)
Existential Inequality and Women’s Empowerment in Selected Muslim Majority Countries: A Comparative Study

15:00 -15:30 Michele Raitano (Università La Sapienza, Roma),
Intergenerational transmission mechanisms of inequalities in Italy and some international comparisons

15:30 – 16:00 Francesco Sarracino (via Skype) (STATEC, National Institute of Statistics and Economic Studies of the Grand Duchy of Luxembourg), Luxembourg
Explaining Russian exception: containing income inequality promotes life satisfaction

16:00 – 17:00 Discussion and roundtable. End of the conference

Il nuovo Direttore di Scienza e Pace / Science and Peace presenta lo stato dell'arte e il piano di sviluppo della rivista.

Recensione di Elisabetta Grande, Guai ai poveri. La faccia triste dell'America, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2017.

L’obiettivo primario di questo studio è analizzare e discutere come lo sviluppo di partenariati pubblico-privati (PPP) possa massimizzare l’impatto di progetti legati al “rafforzamento delle capacità” nella ricerca scientifica e, allo stesso tempo, contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile sanciti dall’Agenda 2030. Negli ultimi decenni si è sviluppato un notevole interesse sull’evoluzione di sistemi di PPP, soprattutto in relazione ai meccanismi di finanziamento dell’educazione e della ricerca scientifica. Viene qui inoltre descritto il ruolo di organizzazioni internazionali, quali le Nazioni Unite, nell’incoraggiare l’adozione di PPP per perseguire i propri obiettivi di sviluppo. Tali meccanismi non sono scevri da dibattiti e potenziali sfide, specialmente in merito alla cooperazione del settore privato con attori multilaterali nell’adozione di modelli di PPP. L’articolo include l’analisi di casi pratici ed esperienze degli autori, impegnati nella cooperazione tra organizzazioni di diversa natura (UNESCO-MERCK Africa Research Summit) che ambiscono a creare un terreno fertile per generare esternalità positive ed effetti “spillover” che coinvolgano la cooperazione Nord-Sud e Sud-Sud, così come l’empowerment di genere nella ricerca. Facendo riferimento alla controversa letteratura sul tema, questo lavoro vuole sottolineare il potenziale di partenariati pubblico-privati nel catalizzare relazioni tra attori eterogenei che includano organizzazioni internazionali, il mondo dell’industria, centri di ricerca, università e società civile.

La guerra contemporanea investe ogni cosa e ogni persona. Tra le vittime civili, le più esposte e vulnerabili sono le donne, incluse ragazze e bambine. Questo articolo indaga come, in determinate guerre, il corpo della donna diventi terreno di forte identità per un gruppo o una nazione e come, su questa identità, il nemico eserciti violenza per affermare la propria superiorità. La donna, identificata col proprio corpo, diventa il territorio simbolico di un attraversamento che, nella violenza sessuale, rende tangibile il superamento di un confine. La disumanizzazione dei popoli, come nel caso dell'ex Jugoslavia o del Ruanda, è iniziata perciò dal corpo delle donne. Non è tanto la violenza sessuale in sé a essere rilevante qui, ma il suo utilizzo come strategia di guerra poggiante su significati sociali ben precisi. Da un lato, l’atrocità compiuta sul corpo femminile anche in pubblico simboleggia l’annientamento permanente della società rivale e si configura come espressione di odio etnico più che di misoginia. Dall'altro lato, l'identificazione della donna come “proprietà del maschio” che si vuole annientare, si radica in una criticabile concezione patriarcale della società.

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa