Call for papers / Federico Oliveri

L’Europa sta vivendo in questi anni una crisi largamente prevedibile ma di dimensioni enormi: il nostro Pil è sceso del 4% nel 2009, la nostra produzione industriale è tornata ai livelli degli anni '90 e 23 milioni di persone, pari al 10% della nostra popolazione attiva, sono attualmente disoccupate. Tra le strategie che la Commissione europea intende mettere in campo per spingere verso “una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” c’è, nell’ambito della politica estera, quella di “agire in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e a livello bilaterale per migliorare l'accesso al mercato per le imprese dell'Unione, comprese le piccole e medie imprese, e garantire loro condizioni di parità rispetto ai nostri concorrenti esterni”. In questa cornice, non può che suonare minaccioso il buon proposito di “adoperarci con maggiore impegno per approfondire le strette relazioni di partenariato che ci legano all'Africa” (Commissione europea, 2010). [...]

Intervista a Umberto Stefani

Iniziamo con una domanda impegnativa. Nel Referendum svolto nel 2005 in Francia (paese co-fondatore della Comunità Europea) il 54,87% dei francesi ha detto no alla “Costituzione Europea” contro il 45,13% che si è pronunciato per il sì. Dopo questa battuta d’arresto in tanti, e non solo i cosiddetti “euro-scettici”, hanno guardato con crescente dubbio al futuro di un’Europa “politica” unita, quasi che al modello di un’Unione economico-burocratica non ci fossero alternative. Oggi, la risposta collettiva alla crisi finanziaria segnala forse un’inversione di tendenza, ma si ha sempre la percezione di un deficit della politica nel governare democraticamente l’unificazione monetaria ed economica. Come si spiega questa situazione? [...]

 

L’accidentato “processo costituente” europeo

Dopo la bocciatura alle consultazioni referendarie in Olanda e in Francia del Trattato Costituzionale – alla lettera, del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa – in molti hanno parlato di “fallimento costituzionale” dell’Europa. Certamente, dopo la bocciatura popolare del nuovo trattato, elaborato faticosamente tra il 2002 e il 2004, era necessario un periodo di riflessione: l’Unione Europea avrebbe dovuto ripensare e in parte ridimensionare le proprie ambizioni costituenti. Un input importante in questo senso è venuto dalla Germania con la Dichiarazione di Berlino, adottata il 25 marzo 2007 da tutti gli Stati membri, in cui si riaffermava la volontà di raggiungere un accordo su un nuovo trattato entro il 2009. Già il 21 giugno il Consiglio Europeo si è riunito a Bruxelles e, alla fine dei negoziati, ha dato mandato alla Conferenza intergovernativa (CIG) – la sede istituzionale prevista per la revisione dei Trattati – di elaborare un nuovo testo. [...]

Sono passati ormai più di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza n. 138/2010 con cui la Corte Costituzionale italiana si è pronunciata, escludendola, sulla possibile incostituzionalità delle norme del Codice civile (artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis) che, nella loro interpretazione sistematica ovvero non in ragione della lettera della norma bensì in ragione di alcuni riferimenti in essa contenuti, non riconoscerebbero alle coppie dello stesso sesso il diritto di contrarre matrimonio. Nell’ordinamento vigente, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto né vietato espressamente. I citati articoli del Codice, infatti, non indicano espressamente la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, per quanto si riferiscano al “marito” e alla “moglie” come “attori” della celebrazione (artt. 107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (artt. 143 e seguenti) e autori della generazione (artt. 231 e seguenti). [...]

Per ben 38 volte dall’inizio dell’anno ad oggi abbiamo aspettato che fosse troppo tardi. Tardi per intervenire. In tempo solo per raccontare e tentare di riflettere. Spesso non si fa neppure quello: un suicidio in carcere (Ristretti Orizzonti, 2010) merita al massimo qualche riga sui giornali, articoli quasi identici che si ripetono e che ormai non stupiscono più, ammesso che abbiano mai stupito. Siamo di fronte ad un vero e proprio paradosso: mentre il numero dei cosiddetti “eventi critici” in ambito penitenziario (suicidi, morti per malattia o per cause “ignote”, atti di autolesionismo, maltrattamenti) cresce inesorabilmente, si ha la sensazione disarmante che l’indignazione ceda il passo all’abitudine e, dunque, all’indifferenza o alla rassegnazione. La questione dei suicidi è solo uno dei tanti temi, per quanto forse il più emblematico, da cui partire per analizzare la situazione delle carceri in Italia: un problema che, nonostante l’indubbia urgenza e complessità che lo caratterizza, non sembra mai degno di occupare seriamente i primi posti nell’agenda politica nazionale. Come possiamo affrontare il tema con la dovuta serietà? [...]

La realtà del Sudafrica è una delle più complesse dell’intero continente tanto da rappresentare una evidente anomalia rispetto al quadro africano. Da numerosi osservatori è inserito nella lista dei futuri paesi emergenti, quelli che si affiancheranno a Cina, India, Brasile e Russia. Molte proiezioni lo collocano, insieme a Messico, Indonesia e Turchia, ai primi posti nelle future graduatorie di incremento del PIL e non solo. Con una popolazione ormai vicina ai 50 milioni di abitanti, dovrebbe registrare una crescita media annua dal 2010 al 2050 del 4,28%, un risultato decisamente significativo e in parte reso credibile dai dati più recenti; il Sudafrica, dopo essere cresciuto dal 1998 ad una media del 6% l’anno, sta attraversando la crisi mondiale con un aumento del Pil vicino al 2% nel 2009 e del 2,3% nel 2010, continuando a rappresentare da solo oltre il 40% della ricchezza di tutta l’Africa subsahariana. [...]

Era il 2004, l’anno del nuovo Trattato Costituzionale europeo poi bocciato dai referendum francese ed olandese e sostituito dall’attuale Trattato di Lisbona, quando Jeremy Rifkin pubblicava Il sogno europeo. Come l’Europa ha creato una visione del futuro che sta lentamente eclissando il sogno americano. L’autore contestava la “narrazione neo- conservatrice” che identificava la modernità occidentale col trionfo dell’homo oeconomicus, del libero mercato, dello Stato nazionale e dello sfruttamento tecno-scientifico della natura e che vedeva nell’affermazione della superpotenza statunitense, principale depositaria di quei valori, la “fine della storia”. Rifkin invitava viceversa a prendere atto del crescente divario politico-culturale interno al “mondo occidentale”, destinato a riaprire i giochi della storia: mentre il “sogno americano”, fondato sulla crescita illimitata, sulla competizione interpersonale, sull’accumulazione privata di ricchezza, sulla superiorità militare e su una politica estera di potenza, era destinato alla lunga al fallimento, il futuro apparteneva al “sogno europeo” fondato sullo sviluppo sostenibile, sui diritti sociali e sui beni relazionali, sulla responsabilità sociale condivisa e sulla pace, garantita da una politica estera orientata al consenso multilaterale e all’aiuto pubblico allo sviluppo. [...]

Una rivista che si occupa di “scienze e pace” può proporre facilmente ai suoi lettori, tra le recensioni, libri che trattino in prospettiva interdisciplinare i diversi aspetti della violenza e della guerra. Difficoltà possono sorgere, però, quando l’argomento sia la pace stessa: come da tempo abbiamo imparato, non ne esiste infatti una definizione univoca. Abbiamo forse raggiunto un certo accordo su definizioni “in negativo”, ossia su che cosa non vada considerato come pace: essa non può essere ridotta al mero contrario della guerra e della violenza armata, né può essere circoscritta ad una situazione stazionaria, ovvero alla progressiva eliminazione di tutti i conflitti. Una proposta di definizione della pace “in positivo” può passare attraverso il riconoscimento della centralità della vita: in questo senso, essa può essere definita come una continua tensione per affermare pienamente il fenomeno tipico del nostro pianeta. Prendendo come riferimento gli esseri umani, la pace allude così alla possibilità di costruire relazioni di uguaglianza tra le persone, i gruppi e i popoli, fondate sul rispetto dei diritti di ogni vivente. In questa forma, la pace deve tenere conto della complessità e dell’indivisibilità dei diritti, che si richiamano reciprocamente tra loro, e delle condizioni che ne consentono l’effettivo esercizio da parte di tutti. Così, ad esempio, il diritto fondamentale alla salute implica quello ad un’adeguata alimentazione, incluso il libero accesso a beni essenziali come l’aria e l’acqua, così come il diritto al reddito, al lavoro e ad un’abitazione adeguata alle esigenze individuali e familiari. Da qui la pertinenza di affrontare in questa sede il tema della “medicalizzazione” e dei suoi effetti negativi sull’autonomia e sul benessere personali, oltre che sull’insieme delle relazioni sociali. [...]

Non si può non cominciare la recensione di questo libro senza commentare la traduzione italiana del titolo e del sottotitolo. La prima versione inglese suona infatti The spirit level: why more equal societies almost always do better, che si potrebbe tradurre letteralmente La livella: perché le società con maggiore uguaglianza quasi sempre risultano migliori. La metafora concreta della livella a bolla (quella resa celebre da Totò), da strumento di misura dell'uguaglianza è diventata nella versione italiana una metafisica “misura dell'anima”. Così come l'ottimismo implicito nella relazione tra uguaglianza e benessere ha lasciato il posto ad una pessimistica considerazione sulle diseguaglianze che creano infelicità. Che gli autori volessero mettere l’accento sul fattore positivo costituito dall’uguaglianza è confermato da ulteriori sottotitoli che il saggio ha ricevuto in due successive edizioni inglesi, che suonano rispettivamente Why greater equality makes societies stronger, ossia Perché più uguaglianza rende le società più forti, e Why Equality is Better for Everyone, ossia Perché l’uguaglianza è meglio per tutti. [...]

Intercultura, nuovi razzismi e migrazioni, il volume collettivo curato da Ilaria Possenti per la Plus – Pisa University Press, non è il solito libro che dipinge le magnifiche sorti della società inter- o multi-culturale. Innanzitutto, perché distingue chiaramente tra i due concetti, operando una precisa scelta di campo tra interculturalismo e multiculturalismo. Come scrive in modo limpido la curatrice, il volume intende prendere le distanze da una diffusa tendenza multiculturalista per “lavorare sulla comprensione e l’elaborazione di relazioni (inter), più che identificare differenze separate di cui auspicare o temere la coesistenza (multi)”. E infatti, nel volume, il saggio di Scannavini si sofferma sulle dinamiche di creolizzazione, meticciato e ibridazione, proprio perché sono al centro della storia delle migrazioni molto più di una supposta cristallizzazione di identità diverse. [...]

Questo sito utilizza solo cookie tecnici, propri e di terze parti, per il corretto funzionamento delle pagine web e per il miglioramento dei servizi. Se vuoi saperne di più, consulta l'informativa