Call for papers / Federico Oliveri

Gli eventi causati dal terremoto dell’11 marzo 2011 e dal susseguente tsunami alla centrale nucleare giapponese di Fukushima Dai-ichi hanno prodotto il più grave incidente nucleare dopo iI disastro di Chernobyl, con enormi implicazioni economiche, sanitarie e sociali in Giappone e ripercussioni a livello mondiale. Il lavoro descrive la centrale, le caratteristiche tecniche e di sicurezza delle sue unità e il loro stato al momento del terremoto. Si segue quindi la storia dei vari impianti a seguito delle ondate di tsunami che hanno causato l’interruzione dei sistemi di raffreddamento, fino a causare la fusione del nocciolo di tre reattori e la dispersione nell’ambiente di sostanze radioattive, il che ha imposto l’evacuazione di circa 100.000 persone dalla zona circostante. Vengono infine tratte delle lezioni a livello internazionale e considerati i possibili scenari futuri. I dati presentati, basati su documenti ufficiali, in particolare i rapporti della commissione internazionale di esperti della IAEA e dai due primi rapporti del governo giapponese, sono aggiornati a fine settembre 2011.

Ci si potrebbe legittimamente chiedere perché un Centro di Studi per la Pace sta promuovendo un evento pubblico dedicato ai temi della senzatetto. Nella nostra prospettiva, la pace non è semplicemente l'assenza di guerra o di conflitti più o meno violenti, ma un processo verso la costruzione della società più giusta. Un processo che crea pace impegnandosi per la giustizia.
Pertanto, la pace non è una situazione statica: è piuttosto un corso dinamico, così che siamo in pace quando costruiamo la pace. E per costruire realmente e durevolmente la pace, dobbiamo stare "per le strade", cioè dove restano anche i senzatetto e coloro che li aiutano.

La recente crisi finanziaria ed economica globale ha certamente evidenziato – a mio avviso e ad avviso di molti altri osservatori – i limiti del paradigma economico che era stato seguito negli ultimi trenta anni circa.
Al fine di disporre di una visione più ampia, tuttavia è necessario ripercorrere brevemente le tappe che hanno condotto alla situazione attuale, a partire quanto meno dalla crisi del 1929, che causò un elevato tasso di disoccupazione in molti paesi, e mostrò che il mercato poteva stabilizzarsi in equilibri insoddisfacenti, di sottoccupazione, dai quali non manifestava nessuna tendenza endogena a spostarsi. Fu la crisi del 1929 che creò le condizioni per la teorizzazione del ruolo dell’intervento pubblico in economia, fornita successivamente da Keynes nella sua Teoria Generale del 1936.

L’educazione civica è strettamente agganciata all’idea di cittadinanza. Formare all’agire civico evoca la partecipazione democratica, la consapevolezza civile, la titolarità dei diritti e dei doveri costituzionali, in primo luogo la libertà, l’uguaglianza, la dignità, la solidarietà. La funzione dell’educazione dovrebbe essere quella di far sviluppare nei bambini e nei giovani la consapevolezza dell’essere cittadini. Essere uomini con il diritto ad avere diritti è il codice soggettivo che ogni alunno dovrebbe portare con sé all’uscita dal percorso formativo scolastico. Un’acquisizione di tipo generativo, cioè suscettibile di canalizzare l’adattamento degli individui alla società civile, alle sue sfide come alle sue opportunità, nel solco di una convivenza ispirata ai valori repubblicani.

Il recente Decreto Legislativo n. 28/2010 introduce nel nostro ordinamento strumenti di conciliazione, principalmente con l’obbiettivo di arginare la situazione di forte stallo della macchina della giustizia, caratterizzata da un enorme numero di cause che vengono decise in un tempo spesso molto – troppo – lungo. L’analisi del testo normativo si concentra sulle questioni culturali sottostanti a questo tema. La logica con cui si affrontano questo tipo di conflitti infatti è in generale di tipo “vinci-perdi” dove l’altra parte è un nemico da sconfiggere per il quale non si concepisce facilmente l’idea di comporre gli interessi di entrambi nella gestione del conflitto.

La recente pubblicazione in lingua italiana, a cura delle Edizioni dell'Asino, della biografia di Ivan Illich firmata da Martina Kaller- Dietrich, è sicuramente un evento di cui felicitarsi, in attesa di una più organica e profonda biografia intellettuale ancora tutta da scrivere. In Illich, d'altronde, pensiero e vita si intrecciano inestricabilmente, secondo una consuetudine di filosofia vissuta (forse l'unica veramente necessaria) che ci riconduce ai primordi del pensiero filosofico ed alla grande tradizione classica. Questa fusione di pensiero e vita sancisce la singolarità e l’insostituibilità di Ivan Illich nel panorama dei grandi maestri della nostra epoca. Un pensiero partecipato, quello di Illich, spesso con- creato assieme ai tanti compagni di strada e di studio, nell'ambito di quella philia che è stata una delle ultime grandi riflessioni del filosofo. [...]

I Presidenti di Stati Uniti e Russia hanno dichiarato congiuntamente che le relazioni fra i rispettivi paesi sono state «riposizionate», e che una guerra nucleare fra loro è ora «impensabile», ma c’è ben poco di vero in questo. I rispettivi piani strategici di guerra contengono tuttora svariate opzioni d’attacco nucleare con centinaia di bersagli pre- programmati, che chiaramente includono città ed aree urbane dell’altrui territorio. Ad esempio, i bersagli strategici degli USA comprendono le forze militari russe, le infrastrutture di sostegno bellico e di armi di distruzioni di massa, e la dirigenza militare e politica (Kristensen, 2010). [...]

In ambito scientifico la questione del consumo di suolo suscita reazioni ormai condivise, con valutazioni generalmente negative sui relativi effetti ambientali e sociali. Il rapporto pubblicato nel 2006 dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) e intitolato Urban Sprawl in Europe. The ignored challenge (EEA, 2006) ha avuto un buon impatto divulgativo, anche al di fuori dei circoli accademici. Urban sprawl indica la diffusione e la dispersione insediativa, fenomeni sintetizzabili in italiano con locuzioni come 'città diffusa', 'territori della dispersione', 'città dispersa' (Secchi, 1996, 2007; Gibelli e Salzano, 2006). Le dinamiche dell’urbanizzazione sono intese nel contesto di questo contributo non soltanto come urban sprawl, ma anche come cambio di destinazione d’uso di terreni e fabbricati rurali per fini abitativi, sia nei contesti ad espansione urbana, sia nei contesti rurali.
L’oggettività dei dati numerici e la lucidità dell’analisi del tema presentati nel suddetto rapporto sono arrivati anche al mondo istituzionale, in particolare per quanto riguarda la relazione del fenomeno urban sprawl con il tema ‘caldo’ dei cambiamenti climatici. Ne dà una significativa testimonianza il rapporto finale della ricerca promossa dalla Commissione Europea in materia, intitolato proprio Review of existing information on the interrelations between soil and climate change (European Commission, 2008). I costi ambientali del fenomeno sarebbero dovuti all'uso poco efficiente della risorsa suolo, con ripercussioni sulla capacità degli ecosistemi di fornire servizi ecosistemici sia 'hard' come, ad esempio, l'equilibrio idrogeologico e la produzione di cibo, che 'soft' come, ad esempio, i servizi ricreativi (Vejre et al., 2010). [...]

«Ogni venerdì dopo le preghiere nelle moschee del Cairo, ogni sabato sera alla fine dello Shabbat a Tel Aviv». Queste le parole di uno dei leader della protesta che ormai dal 14 luglio spinge molti israeliani nelle piazze. Quella dello scorso 3 settembre, con i suoi circa 400 mila dimostranti in tutto il paese (che conta una popolazione di appena 7 milioni) è stata probabilmente la più grande dimostrazione dalla fondazione dello stato di Israele.
All'inizio le prime proteste con le tende nell'elegante Boulevard Rothschild a Tel Aviv venivano prese in giro: proteste di una generazione viziata, proveniente dalla classe media, per ottenere riduzioni degli affitti e del prezzo del cottage cheese. Ma le cose sono a poco a poco cambiate. Nella grande manifestazione del 6 agosto (non la «madre di tutte le proteste», ma la «nonna di tutte le proteste» nelle parole di Gideon Levy), un grande cartello in ebraico e arabo diceva «L'Egitto è qui». [...]

Il movimento Occupy Wall Street - per ora è un movimento - è l'evento politico più importante negli Stati Uniti dopo le rivolte del 1968, di cui è diretta discendente o continuazione.
Perché è iniziato negli Stati Uniti quando lo ha fatto - e non tre giorni, tre mesi, tre anni prima o dopo - non lo sapremo mai con certezza. C'erano le condizioni: un dolore economico acutamente crescente non solo per i veri poveri, ma per un crescente segmento dei lavoratori poveri (altrimenti noto come la "classe media"); incredibile esagerazione (sfruttamento, avidità) dell'1% più ricco della popolazione americana ("Wall Street"); l'esempio di slanci rabbiosi in tutto il mondo (la "primavera araba", gli indignati spagnoli, gli studenti cileni, i sindacati del Wisconsin e una lunga lista di altri). Non importa davvero quale sia stata la scintilla che ha acceso il fuoco. È iniziato. [...]

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