Call for papers / Federico Oliveri

Il recente Decreto Legislativo n. 28/2010 introduce nel nostro ordinamento strumenti di conciliazione, principalmente con l’obbiettivo di arginare la situazione di forte stallo della macchina della giustizia, caratterizzata da un enorme numero di cause che vengono decise in un tempo spesso molto – troppo – lungo. L’analisi del testo normativo si concentra sulle questioni culturali sottostanti a questo tema. La logica con cui si affrontano questo tipo di conflitti infatti è in generale di tipo “vinci-perdi” dove l’altra parte è un nemico da sconfiggere per il quale non si concepisce facilmente l’idea di comporre gli interessi di entrambi nella gestione del conflitto.

La recente pubblicazione in lingua italiana, a cura delle Edizioni dell'Asino, della biografia di Ivan Illich firmata da Martina Kaller- Dietrich, è sicuramente un evento di cui felicitarsi, in attesa di una più organica e profonda biografia intellettuale ancora tutta da scrivere. In Illich, d'altronde, pensiero e vita si intrecciano inestricabilmente, secondo una consuetudine di filosofia vissuta (forse l'unica veramente necessaria) che ci riconduce ai primordi del pensiero filosofico ed alla grande tradizione classica. Questa fusione di pensiero e vita sancisce la singolarità e l’insostituibilità di Ivan Illich nel panorama dei grandi maestri della nostra epoca. Un pensiero partecipato, quello di Illich, spesso con- creato assieme ai tanti compagni di strada e di studio, nell'ambito di quella philia che è stata una delle ultime grandi riflessioni del filosofo. [...]

I Presidenti di Stati Uniti e Russia hanno dichiarato congiuntamente che le relazioni fra i rispettivi paesi sono state «riposizionate», e che una guerra nucleare fra loro è ora «impensabile», ma c’è ben poco di vero in questo. I rispettivi piani strategici di guerra contengono tuttora svariate opzioni d’attacco nucleare con centinaia di bersagli pre- programmati, che chiaramente includono città ed aree urbane dell’altrui territorio. Ad esempio, i bersagli strategici degli USA comprendono le forze militari russe, le infrastrutture di sostegno bellico e di armi di distruzioni di massa, e la dirigenza militare e politica (Kristensen, 2010). [...]

In ambito scientifico la questione del consumo di suolo suscita reazioni ormai condivise, con valutazioni generalmente negative sui relativi effetti ambientali e sociali. Il rapporto pubblicato nel 2006 dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) e intitolato Urban Sprawl in Europe. The ignored challenge (EEA, 2006) ha avuto un buon impatto divulgativo, anche al di fuori dei circoli accademici. Urban sprawl indica la diffusione e la dispersione insediativa, fenomeni sintetizzabili in italiano con locuzioni come 'città diffusa', 'territori della dispersione', 'città dispersa' (Secchi, 1996, 2007; Gibelli e Salzano, 2006). Le dinamiche dell’urbanizzazione sono intese nel contesto di questo contributo non soltanto come urban sprawl, ma anche come cambio di destinazione d’uso di terreni e fabbricati rurali per fini abitativi, sia nei contesti ad espansione urbana, sia nei contesti rurali.
L’oggettività dei dati numerici e la lucidità dell’analisi del tema presentati nel suddetto rapporto sono arrivati anche al mondo istituzionale, in particolare per quanto riguarda la relazione del fenomeno urban sprawl con il tema ‘caldo’ dei cambiamenti climatici. Ne dà una significativa testimonianza il rapporto finale della ricerca promossa dalla Commissione Europea in materia, intitolato proprio Review of existing information on the interrelations between soil and climate change (European Commission, 2008). I costi ambientali del fenomeno sarebbero dovuti all'uso poco efficiente della risorsa suolo, con ripercussioni sulla capacità degli ecosistemi di fornire servizi ecosistemici sia 'hard' come, ad esempio, l'equilibrio idrogeologico e la produzione di cibo, che 'soft' come, ad esempio, i servizi ricreativi (Vejre et al., 2010). [...]

«Ogni venerdì dopo le preghiere nelle moschee del Cairo, ogni sabato sera alla fine dello Shabbat a Tel Aviv». Queste le parole di uno dei leader della protesta che ormai dal 14 luglio spinge molti israeliani nelle piazze. Quella dello scorso 3 settembre, con i suoi circa 400 mila dimostranti in tutto il paese (che conta una popolazione di appena 7 milioni) è stata probabilmente la più grande dimostrazione dalla fondazione dello stato di Israele.
All'inizio le prime proteste con le tende nell'elegante Boulevard Rothschild a Tel Aviv venivano prese in giro: proteste di una generazione viziata, proveniente dalla classe media, per ottenere riduzioni degli affitti e del prezzo del cottage cheese. Ma le cose sono a poco a poco cambiate. Nella grande manifestazione del 6 agosto (non la «madre di tutte le proteste», ma la «nonna di tutte le proteste» nelle parole di Gideon Levy), un grande cartello in ebraico e arabo diceva «L'Egitto è qui». [...]

Il movimento Occupy Wall Street - per ora è un movimento - è l'evento politico più importante negli Stati Uniti dopo le rivolte del 1968, di cui è diretta discendente o continuazione.
Perché è iniziato negli Stati Uniti quando lo ha fatto - e non tre giorni, tre mesi, tre anni prima o dopo - non lo sapremo mai con certezza. C'erano le condizioni: un dolore economico acutamente crescente non solo per i veri poveri, ma per un crescente segmento dei lavoratori poveri (altrimenti noto come la "classe media"); incredibile esagerazione (sfruttamento, avidità) dell'1% più ricco della popolazione americana ("Wall Street"); l'esempio di slanci rabbiosi in tutto il mondo (la "primavera araba", gli indignati spagnoli, gli studenti cileni, i sindacati del Wisconsin e una lunga lista di altri). Non importa davvero quale sia stata la scintilla che ha acceso il fuoco. È iniziato. [...]

Fratelli dell'Uomo lavora da più di 40 anni nel settore della cooperazione internazionale, basando il proprio operato sul rafforzamento del partenariato Nord/Sud. Dagli anni ‘80 lavoriamo senza personale espatriato, nella convinzione che le organizzazioni del cosiddetto “Sud del mondo” abbiano le capacità e le conoscenze per operare direttamente e, se giustamente supportate, possano essere agenti di sviluppo e di cambiamento locale molto più stabili e capillari di quanto non siano gli operatori esterni. In quest'ottica, una delle nostre azioni più importanti è quella di favorire il continuo scambio di esperienze e di conoscenze tra i due emisferi, sia per favorire la conoscenza diretta di luoghi e persone lontane, sia per costruire e rafforzare reti di sostegno sia politiche che tecniche per i nostri partner.
Nel quadro di questa visione della solidarietà attiva internazionale, Fratelli dell’Uomo ha recentemente ospitato a Pisa due rappresentanti di AOPEB, un’associazione di agricoltori ecologici Boliviani. All'interno di un progetto di cooperazione decentrata cofinanziato dalla Regione Toscana intitolato “Seminiamo la Biodiversità: scambi di buone prassi in ambito agricolo”, Mary Carmen De La Cruz, segretaria generale di AOPEB e produttrice di caffè biologico, e Adolfo Flavio Valdez Laguna, responsabile dello sviluppo dei mercati di AOPEB, hanno intrapreso un fitto calendario di visite ed appuntamenti pubblici grazie al quale hanno conosciuto produttori locali toscani, esperienze di piccoli mercati, amministrazioni locali. [...]

Dopo Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen e Libia è l’ora dell’escalation militare USA in Africa centrale. Assassinati Osama Bin Laden e Gheddafi, il nemico number one dell’amministrazione Obama è divenuto Joseph Kony, il capo supremo del Lord’s Resistance Army (Esercito del Signore), l’organizzazione di ribelli ugandesi che dalla seconda metà degli anni ’80 ad oggi si è macchiata di gravi crimini contro l’umanità, massacri, stupri e rapimenti di bambini e adolescenti.
Con una lettera al Congresso, il presidente Barack Obama ha annunciato l’invio in Africa centrale di un “piccolo numero di militari equipaggiati per il combattimento” per “fornire assistenza alle forze armate locali impegnate a sconfiggere Joseph Kony”. Si tratta, in una prima fase, di un team di “consiglieri” delle forze operative speciali USA, il cui numero dovrebbe crescere entro un mese a un centinaio tra militari e “civili”, compreso un “secondo gruppo equipaggiato al combattimento con personale esperto in intelligence, comunicazioni e logistica” (Vandiver, 2011b). I militari hanno raggiunto l’Uganda, ma successivamente le forze armate statunitensi potrebbero estendere il loro raggio d’azione al Sudan meridionale, al Darfur, alla Repubblica Centroafricana e alla Repubblica Democratica del Congo. Il controllo della missione è stato affidato allo Special Operations Command - Africa, il comando per le operazioni speciali nel continente con sede a Stoccarda (Germania). [...]

Durante le proteste in piazza Tahrir nel novembre 2011, Mohamed Ali, 20 anni, ha risposto alla domanda di un giornalista sul motivo per cui era lì: "Vogliamo giustizia sociale, niente di più, è il minimo che meritiamo".
Il primo round dei movimenti ha assunto molteplici forme in tutto il mondo: la cosiddetta primavera araba, i movimenti Occupy che iniziano negli Stati Uniti per poi diffondersi in un gran numero di paesi, Oxi in Grecia e gli indignati in Spagna, le proteste studentesche in Cile e molti altri. Sono stati un successo fantastico. Il grado di successo può essere misurato da un articolo straordinario scritto da Lawrence Summers sul Financial Times il 21 novembre, con il titolo: "La disuguaglianza non può più essere tenuta lontana dalle solite idee". Questo non è un tema per il quale Summers è stato precedentemente conosciuto. [...]

Se si pensa al significato comune delle parole “ambiente” e “guerra”, si può avere l’impressione che non abbiano nulla a che vedere l'una con l’altra. A prima vista, le due nozioni sembrano appartenere a due mondi separati: la prima evoca immagini di vita e di benessere, la seconda è immancabilmente legata a pensieri di morte e distruzione. Basterebbe fermarsi a riflettere per scoprire che esistono molteplici e complesse interconnessioni fra “ambiente” e “guerra”, anche se ciò traspare raramente nei dibattiti pubblici e politici in materia. In genere, infatti, quando si parla di guerra si tende a presentare la situazione da un punto di vista politico, socio-economico o umanitario, trascurando gli aspetti ambientali. Allo stesso modo, quando si analizzano gli impatti delle attività antropiche sui sistemi naturali, difficilmente si prende in considerazione la realtà militare e bellica, e si focalizza l’attenzione quasi esclusivamente su quella civile. Eppure, per preparare le guerre vengono utilizzati fino a 15 milioni di km2 di terra (più dell’intero territorio dell’Europa) e il 6% del consumo di materie prime, producendo circa il 10% delle emissioni globali di carbonio l’anno (Machlis e Hanson, 2008). [...]

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