Call for papers / Federico Oliveri

Riprendiamo integralmente il testo della lettera aperta scritta a Kofi Annan, inviato speciale delle Nazioni unite e della Lega araba per la crisi siriana, da Paolo Dall'Oglio, gesuita e fondatore della Comunità monastica di Deir Mar Musa. Il gesuita intende consegnare personalmente all'ex Segretario generale dell'Onu la lettera durante la sua visita in Siria. [...]

Gli ultimi mesi del 2011 e l’inizio del 2012 sono stati caratterizzati da un crescente livello della polemica internazionale sul programma nucleare iraniano, e sempre più spesso si parla della possibilità di un intervento militare contro quelle installazioni nucleari da parte principalmente di Israele. È essenziale invece che i responsabili della diplomazia non si facciano intrappolare nel dilemma fra l’accettazione impotente di un Iran come nuova potenza nucleare, e l’eliminazione con un intervento militare di un programma nucleare dichiaratamente civile. Per evitare un’altra guerra è quindi importante sostenere una posizione che da un lato abbassi i toni della polemica, e dall’altro esamini le possibili soluzioni all'impasse diplomatica. [...]

Per quanto notevolmente inferiore a ciò che riceve Israele (che, includendo tutto, arriva a circa 6 miliardi di dollari l'anno), la quantità di aiuti che arriva alla Palestina annualmente è particolarmente rilevante. Gli aiuti economici negli ultimi anni hanno superato globalmente il miliardo di dollari annui, ma malgrado ciò le condizioni di vita dei palestinesi, dagli accordi di Oslo a oggi, sono andate peggiorando. Nel 2009 e 2010 il numero di palestinesi in condizioni di povertà oscillava fra il 26% e il 50%, a seconda dell'indicatore di povertà usato. Secondo il Programma Alimentare Mondiale, nel 2011 circa la metà delle famiglie palestinesi ha avuto problemi di sicurezza alimentare. La disoccupazione dal 2009 si mantiene intorno al 30%, con valori del 43% fra i giovani sotto i 30 anni (valori medi fra Cisgiordania e Gaza). [...]

Quando, nell’autunno 1989, nella Biblioteca Comunale di Capraia e Limite cominciammo a tenere un corso di italiano per lavoratori immigrati, non sospettavamo neanche lontanamente la forzatura di significati che si sarebbe scaricata due decenni dopo su tale accostamento alla lingua italiana da parte dei nostri nuovi vicini di casa.
Erano stati loro a chiederlo, per muoversi meglio nella realtà che da pochi mesi avevano cominciato a esplorare. Tra le prime “offerte formative”, ci fu l’incontro con sindacalisti, amministratori e realtà associative, perché avessero parametri più ricchi grazie a cui muoversi nella società “di accoglienza”. Erano le semplici linee su cui si muovevano altre iniziative del genere, condotte da piccole associazioni con cui ci incontravamo per scambiarci indicazioni, esperienze, strumenti di lavoro. Un’effervescenza della società civile, oggi non più immaginabile. [...]

Scriveva Sun Tzu nel V secolo a.C. nel suo manuale di strategia, L’arte della guerra, che “la guerra si fonda sull’inganno”. All’inganno bellico cedono anche gli intellettuali quando sostengono che i conflitti armati siano il motore per la scienza e la tecnologia verso nuove scoperte e invenzioni. Va contro questa tesi lo storico inglese John Gittings che, nel suo ultimo saggio The Glorious Art of Peace. From the Iliad to Iraq (La gloriosa arte della pace. Dall’Iliade all’Iraq), afferma che è stata la pace a promuovere il maggior numero di scoperte e invenzioni, spesso più importanti di quelle messe a punto a fini bellici. La “teoria del palo” contro la “teoria del carro”. Il carro è quello da guerra degli Ittiti, che ha trasformato l’età del bronzo come e quanto il nucleare militare ha dominato la nostra epoca. Il palo è quello che, imperniato con un contrappeso, una fune e un secchio, è stato inventato in Mesopotamia più o meno nello stesso periodo del carro da guerra: fondamentale per l'estrazione dell’acqua dai pozzi, per l’irrigazione dei campi e lo sviluppo delle coltivazioni, ha permesso lo sviluppo delle civiltà.

A trent’anni di distanza dalla storica mobilitazione di Comiso contro gli euro-missili nucleari, il popolo della pace è tornato in Sicilia. Ha deciso di darsi appuntamento il 25 luglio scorso a Catania per lanciare una campagna estiva e autunnale di mobilitazione. Una serie di intellettuali, docenti universitari, militanti politici e sindacali, insegnati, rappresentanti del volontariato e del mondo dell’antimafia hanno dato voce a forti timori per l’escalation dei processi di militarizzazione in atto in Sicilia, trasformata da una parte in una immensa portaerei avanzata per le operazioni di guerra dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico, dall’altra nell’ultima frontiera armata per bloccare i flussi migratori provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo.

Dal 19 al 22 luglio 2012 si è tenuto a Cortona il Seminario “Desde abajo. Dialogo con esperienze popolari di lotta in America Latina”. L’appuntamento, che fa seguito a quelli del 2008, del 2010 e del 2011 organizzati dalla Fondazione "Neno Zanchetta", si è posto come obiettivo quello di approfondire la conoscenza dei movimenti sociali e indigeni latinoamericani, a partire da una riflessione sulla crisi e sulle alternative politiche praticabili, avanzate dalle diverse realtà in movimento. Ad affiancare e stimolare la riflessione degli oltre cinquanta partecipanti sono stati due ospiti provenienti dal Sud America, Hugo Blanco Galdos e Manuel Rozental, le cui vite, meritevoli di una trattazione a sé, saremo qui costretti solo ad accennare, consapevoli di non rendere loro giustizia.

Appare sorprendente che la rivista ultra- tradizionale Foreign Affairs arrivi all’estremo di pubblicare, come articolo principale della sua ultima edizione, “Perché l’Iran dovrebbe avere la Bomba” del noto studioso di scienze politiche Kenneth Waltz.
In realtà non è tanto il titolo appariscente, bensì il ragionamento dell’articolo che rappresenta uno schiaffo alla filosofia anti-proliferazione che ha costituito la pietra angolare della posizione generale degli stati dotati di armi nucleari. Waltz ha cura di evitare di disconoscere la sua identità politica allineata con la tradizione. Ripete l’assunto, che s’intensifica sempre più, che l’Iran stia attualmente perseguendo senza tregua gli armamenti nucleari, anche se concede che possa star solo cercando di ottenere un potenziale di “reazione” – la capacità, in un’emergenza nazionale, di assemblare alcune bombe nel giro di mesi – di cui godono il Giappone e diversi altri paesi.
In nessuna parte Walt allude all’opinione condivisa, recentemente pubblicizzata, di 14 agenzie dei servizi d’informazione statunitensi, che conclude che non ci sono prove che l’Iran abbia deciso di riprendere il suo programma militare abbandonato del 2003. Assieme ad alcuni degli altri argomenti che propone, Walt segnala il suo generale appoggio all’approccio statunitense alla sicurezza d’Israele. Non fraintendiamo: Walt non è né un dissenziente politico né un radicale politico. [...]

Negli ultimi anni le iniziative di resistenza popolare non-violenta e di disobbedienza civile nei territori palestinesi occupati e in Israele hanno ricoperto spazi sempre più rilevanti. Sia nell’opinione pubblica palestinese e israeliana che in quella internazionale, strategie e pratiche alternative alla corrente mainstream hanno rappresentato l’altra faccia del conflitto, seppure ancora come punto di vista minoritario all’interno del cosiddetto “processo di pace”. Se da un lato, la partecipazione degli attivisti palestinesi e israeliani in azioni di politica dal basso è nuovamente cresciuta dopo l’impasse causata dal fallimento degli Accordi di Oslo, dall’altro, gli ostacoli e le contraddizioni interne (in particolare del movimento pacifista israeliano) hanno impedito il raggiungimento di sostanziali cambiamenti dello status quo basati su politiche di riconoscimento e solidarietà.
In un quadro di continuata occupazione militare e di violazioni quotidiane dei diritti fondamentali, due sono le questioni di fondo oggetto della seguente riflessione. La prima, consolidatasi sulle forti dicotomie “noi/loro”, “occupante/occupato”, “oppresso/oppressore”, si rivolge alle voci critiche interne a ciascuna parte. La seconda, a partire da esempi di azioni congiunte tra palestinesi e israeliani, pone l’accento sulla difficoltà nell’attuare politiche realmente egalitarie tra i due fronti contrapposti del conflitto, includendo anche le differenti realtà dello stesso movimento pacifista israeliano. Da qui la domanda: è ancora possibile parlare di una proposta alternativa, che possa svilupparsi a partire da iniziative dal basso coordinate tra palestinesi e israeliani? [...]

Nell'undicesimo anniversario di quello che è diventato noto come l'11 settembre, al-Qaeda rimane un argomento ancora discusso ripetutamente, sia negli Stati Uniti (e nel mondo pan-europeo in generale) che nel Medio Oriente. L'enfasi principale negli Stati Uniti è solitamente il modo in cui il suo potere viene effettivamente contenuto da azioni militari di molti tipi, e quindi è una minaccia in declino. L'enfasi principale nel Medio Oriente sembra essere l'opposto, che sia sopravvissuta a tutto ciò che è stato fatto per decapitarla e che continua a rappresentare una minaccia importante per tutte le altre forze politiche nella regione. [...]

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