Scienza e Pace
Science and Peace
L'articolo ripercorre la storia e l'evoluzione del movimento ecumenico moderno, evidenziando il suo intrinseco legame con la ricerca della pace in Europa e nel mondo. Il movimento nasce ufficialmente con la Conferenza Missionaria di Edimburgo del 1910, come reazione allo scandalo di un cristianesimo diviso. Successivamente, prende forma attraverso movimenti come Fede e Costituzione e Vita e Azione, che nel 1948 convergono nella fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC). Sorto dopo la Seconda Guerra Mondiale, il CEC si è posto come un "ponte tra Oriente e Occidente" durante la Guerra Fredda, estendendo la sua missione oltre la comunione teologica a una riflessione etico-sociale, culminata nel processo JPIC (Justice, Peace, Integrity of Creation). Il contributo sottolinea il ruolo cruciale svolto dal Concilio Vaticano II (1963-'65), con il decreto Unitatis Redintegratio, che impegna la Chiesa Cattolica nel dialogo ecumenico, pur senza aderire al CEC. Nonostante i progressi (come la convergenza sulla giustificazione con i Luterani nel 1999), l'articolo riconosce la persistenza delle divisioni teologiche e la recente precarizzazione del dialogo dovuta alle lacerazioni interne al mondo ortodosso in seguito all'invasione russa dell'Ucraina. Tuttavia, l'ecumenismo continua a operare come "speranza di pace", testimoniata da organizzazioni come il SAE in Italia.
Il presente contributo ricostruisce l’evoluzione del concetto di fraternità nel magistero pontificio contemporaneo, dal pontificato di Leone XIII fino a Papa Leone XIV, con particolare attenzione al nesso tra fraternità e pace. L’analisi si concentra in modo specifico sull’enciclica Fratelli tutti, letta come culmine di una riflessione teologico-sociale e come proposta di un paradigma relazionale fondato sulla comune dignità umana e sull’amicizia sociale. L’articolo esplora anche le implicazioni canonistiche della fraternità, intesa non solo come principio teologico ma anche come criterio giuridico capace di orientare la struttura dell’ordinamento ecclesiale. Si evidenziano perciò alcune applicazioni pratiche del principio di fraternità nel diritto canonico vigente, nonché le sfide aperte per un’effettiva realizzazione di una cultura di pace nella vita istituzionale e nelle relazioni intraecclesiali.
Il presente saggio esamina in prospettiva storica la trasformazione del magistero pontificio sulla guerra e la pace nel XX e XXI secolo, focalizzandosi sul contributo radicalmente innovativo di Papa Francesco. In risposta all'obsolescenza della dottrina della "guerra giusta" di fronte agli armamenti di distruzione di massa e alla storica "condiscendenza partecipata alla guerra", il pontificato di Francesco stabilisce la pace come priorità assoluta e premessa necessaria. Il saggio identifica due aspetti originali della sua proposta: la condanna esplicita e incondizionata dei produttori e commercianti di armi e la promozione della nonviolenza attiva come modello di relazione. Inoltre, il magistero di Francesco si concretizza in un'etica globale di solidarietà e giustizia, superando i generici appelli e affermando che la pace si costruisce assicurando "terra, casa e lavoro a tutti". L'analisi culmina con l'esame del Documento sulla fratellanza umana (2019), che sancisce l'estraneità della violenza all'universo religioso e condanna inequivocabilmente ogni strumentalizzazione delle fedi per fini bellici. Il lavoro critica, infine, il persistente ritardo della teologia accademica nell'abbracciare la pace come tema prioritario, nonostante gli stimoli del pontefice.
L'articolo analizza la dimensione religiosa del conflitto russo-ucraino, un elemento cruciale e spesso sottovalutato nelle analisi geopolitiche, inquadrando gli eventi bellici in un contesto storico-ecclesiastico millenario. Il contributo sottolinea l'importanza straordinaria che la fede cristiana (ortodossa) ha avuto e ha ancora oggi nel plasmare gli intrecci sociali e le inestricabili connessioni geopolitiche tra i due paesi. La riflessione prende le mosse dal Sobor russo del marzo 2024, presieduto dal Patriarca Kirill, che ha approvato una risoluzione definendo l'Operazione militare speciale (OMS) una "guerra santa" contro l'Occidente "sprofondato nel Satanismo" e a difesa del "Mondo Russo" (Russky Mir). Tale giustificazione ideologica si radica nel mito storico di "Mosca, la Terza Roma", erede dell'Ortodossia dopo la caduta di Costantinopoli. Si evidenzia il fatto che il conflitto ha acuito lo scisma tra Mosca e Costantinopoli, sorto dopo la concessione dell'autocefalia alla Chiesa ucraina (CAU) nel 2018: mentre, da una parte, Kirill sostiene fermamente l'OMS, il primate della Chiesa Ortodossa Ucraina (COU) ha condannato l'attacco come "guerra fratricida", sostenuto da diversi vescovi. L’articolo mette in risalto le drammatiche conseguenze per Mosca, che rischia di perdere la Chiesa ucraina – circa un terzo dei suoi fedeli – e di compromettere irreversibilmente il dialogo ecumenico internazionale.
Il presente fascicolo di Scienza e Pace propone una riflessione sul ruolo delle religioni nelle costruzioni della pace. I contributi raccolti in questo numero prendono le mosse da un’attività didattica che, attraverso la riflessione critica e il dialogo nell’aula con le studentesse e gli studenti, è diventata anche un’attività di ricerca. I saggi riprendono alcune delle lezioni e dei seminari tenuti per i Corsi di Diritto e religione e di Diritto comparato delle religioni, nell’ambito delle iniziative di didattica speciale del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, in collaborazione con il Progetto di ricerca di ateneo «La pace fragile». Ci si riferisce, in particolare, al mini-corso «Le religioni come “strade di pace”» (a.a. 2022/2023) e alla clinica legale «Percorsi di de-radicalizzazione e gestione dei conflitti religiosi» (a.a. 2023/2024). Ora i diversi contributi assumono in questo fascicolo una veste unitaria, con una chiave di lettura interdisciplinare. L’obiettivo è quello di esplorare come le religioni possano effettivamente rappresentare un dispositivo di trasformazione nonviolenta dei conflitti e di realizzazione di società pacifiche. È vero: le religioni hanno alimentato, e ancora alimentano, divisioni, persecuzioni e guerre. Eppure, la violenza appare una degenerazione patologica delle esperienze religiose che, al contrario, presentano un potenziale di pace.
L'obiettivo di questo saggio è analizzare l'evoluzione della cultura politica della sinistra moderata negli ultimi decenni. Il punto di partenza è l'attenzione ai valori e alle strategie che hanno influenzato la politica interna ed estera di questa sinistra nella fase della “modernità”, ovvero durante la Guerra Fredda. Johan Galtung è stato il leader intellettuale dell'ala “costruttivista” della sociologia politica, sottolineando valori come la pace, la non violenza, la democrazia partecipativa, lo stato sociale. Dopo il 1989, la sinistra ha parzialmente modificato le sue strategie politiche. L'Occidente stava vivendo un processo di transizione dalle società moderne a quelle postmoderne. La sinistra moderata ha scelto il multiculturalismo come valore fondamentale nei processi decisionali relativi ai flussi migratori e alla gestione dei conflitti tra le diverse nazioni. L'ideologia politicamente corretta è diventata la nuova ancora della sinistra nel tempo della postmodernità e ha svolto il ruolo di cultura politica prevalente (ma non dominante) in Occidente. Questo saggio intende valutare se le strategie politiche della sinistra costruttivista e di quella "politicamente corretta" siano compatibili tra loro, partendo dagli insegnamenti di Johan Galtung.
Questo articolo delinea la vita intellettuale di Galtung sullo sfondo della nascita e dello sviluppo del pensiero non violento nella società occidentale. La sua straordinaria capacità di proporre idee decisive per una teoria della pace e della risoluzione non violenta dei conflitti ha aperto la strada al pensiero strutturale non violento. Tuttavia, dopo il 1989 non ha portato a termine le sue innovazioni, optando invece per una visione eclettica. Ciononostante, è stato in grado di prevedere la caduta di ciascuna delle due superpotenze che dominavano il mondo al suo tempo.
"Il passato deve essere preso sul serio: è troppo serio per essere lasciato agli storici". Così si è espresso lo studioso di pace Johan Galtung, perché capiva come gli intellettuali occidentali "siano addestrati ad astenersi dalla critica, dal costruttivismo e dall'azione, a meno che non si muovano nel campo di scienze applicate certificate come tali". Per gli storici ciò significa scrivere come se fossero imparziali e disinteressati. Non è consentita alcuna agenda socio-politica. Occorre rimanere neutrali (su un treno in movimento). Gli studi sulla pace, tuttavia, come concepiti da Galtung, sono una "scienza sociale applicata, con un orientamento valoriale esplicito - contro la violenza". "Gli studi critici sulla pace prendono posizioni esplicite". Gli studiosi della pace si preoccupano. Uno storico della pace, quindi, è colui che scrive con l'intento trasparente di ridurre la violenza. In questo senso, uno storico può essere un operatore di pace, comprendendo che una pace perpetua è fatta di tante piccole paci, comprese le piccole paci della cultura. [...].
Johan Galtung è una figura di spicco nel campo della Peace Research. Per oltre sessant'anni ha esplorato con passione e studiato con attenzione le complesse sfaccettature della pace e dei conflitti. Nell'arco di questo periodo, non solo ha stimolato discussioni approfondite e dibattiti critici, ma ha anche interagito attivamente con comunità e pubblici diversi. Sfidando le regole consolidate e ampliando i confini del pensiero convenzionale, ha educato un gran numero di persone, promuovendo una comprensione più adeguata delle cause profonde e delle possibili soluzioni ai conflitti globali. Il suo lavoro pionieristico ha introdotto concetti innovativi (come la violenza strutturale e culturale, la pace negativa e positiva, solo per citare alcune delle sue categorie più famose) che sono diventati fondamentali nel settore. [...]. Al tempo stesso, il percorso intellettuale di Galtung nel corso della sua vita non sarebbe stato lo stesso senza i numerosi incontri con figure influenti e stimolanti, le cui idee e filosofie hanno profondamente influenzato il suo lavoro. Tra queste personalità, ciascuna straordinaria nel proprio campo, ne abbiamo selezionato tre che hanno offerto nuove prospettive, intuizioni profonde e una guida fondamentale all'approccio di Galtung agli studi sulla pace e sui conflitti: dagli insegnamenti morali e sociali di suo padre, August Galtung, alla filosofia ecologica di Arne Naess, alla saggezza pratica e ai valori spirituali di Daisaku Ikeda, ciascuno ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare la sua visione e il suo impegno per la pace.
[...] Galtung, di formazione matematico e sociologo, non è stato solo un teorico di grande creatività, ma ha anche messo in pratica le sue idee, come provano alcuni suoi interventi capaci di sbloccare negoziati fra Stati fermi da anni. Ho avuto il privilegio di conoscere Johan abbastanza bene durante il periodo in cui, su mio invito, fu alla “Cesare Alfieri” per un ciclo di incontri dedicati, ovviamente, alla ricerca irenologica. Avevo pubblicato nel 1978 Natura e orientamenti delle ricerche sulla pace cui aveva contribuito anche Norberto Bobbio e mi interessava conoscere il suo giudizio. Ciò che colpiva era l’entusiasmo che trasmetteva ai Suoi interlocutori anche se, talora, discuteva in una lingua non sua, l’italiano, appunto. Le modalità del suo insegnamento rivelavano uno spirito autenticamente missionario. [...]