La crisi del paradigma moderno di giustizia ha fatto emergere una nuova imago Iustitiæ: quella riparativa. In questo saggio vengono analizzate alcune traiettorie genealogiche che soggiacciono a questo nuovo modello che ha fatto la sua apparizione teorica negli anni Ottanta del XX secolo. L’analisi esplora la giustizia riparativa nei termini di un approccio teorico e pratico radicalmente differente rispetto alla funzione meramente retributiva della pena. Essa, infatti, è orientata verso la ricucitura e la ricomposizione dei legami relazionali e sociali, mettendo al centro la figura della vittima. Nel saggio, in particolare vengono ricostruite due possibili traiettorie, che seppur collaterali, aiutano a complessificare il fenomeno della giustizia riparativa. In primo luogo, attraverso la letteratura femminista sulla vulnerabilità si delinea una nozione di vittima intrecciata alla rivoluzione della giustizia riparativa. Secondariamente, viene rintracciato il rapporto tra governamentalità neoliberale e giustizia riparativa.
Il contributo intende analizzare il tema del ricongiungimento familiare per i minori stranieri non accompagnati (MSNA), affrontando le principali criticità della normativa italiana ed europea. In particolare, si esamina l’applicazione pratica delle disposizioni previste dalla Legge 47/2017 e dal Regolamento Dublino III. Si vuole evidenziare la complessità della procedura di ricongiungimento, aggravata dalla mancanza di protocolli omogenei e dalla frammentazione delle competenze tra diverse autorità. Inoltre, si sottolinea la necessità di percorsi di formazione per i tutori volontari e per gli operatori del settore, al fine di migliorare la gestione dei casi e garantire il superiore interesse del minore. L’analisi suggerisce un maggiore coordinamento tra istituzioni e servizi, per garantire un’efficace tutela dei diritti dei MSNA.
Questo articolo esplora le complesse dinamiche della mobilità internazionale lungo le rotte balcaniche, analizzando le ripercussioni delle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea sulle esperienze vissute dai migranti. Attraverso un approccio etnografico fondato sull’osservazione partecipante e sul lavoro sul campo condotto in collaborazione con un movimento indipendente in Bosnia-Erzegovina, lo studio dimostra come i confini operino non soltanto come demarcazioni territoriali, ma anche come costrutti politici, sociali e di classe. Le testimonianze dirette raccolte rivelano pratiche sistematiche di respingimenti e violenze alle frontiere, inclusi casi di tortura e trattamenti disumanizzanti lungo il confine croato-bosniaco. L’articolo avanza inoltre riflessioni sociologiche sul nesso tra violenza di Stato e controllo dei confini, nonché considerazioni politiche in merito alle responsabilità istituzionali nella gestione delle frontiere esterne dell’UE.
Questo articolo esplora la complessa relazione tra l'appropriazione di manifestazioni del patrimonio culturale - come gli oggetti culturali - e la conservazione dell'identità di un popolo, affrontando le sfide poste sia in periodi di conflitti armati che in scenari di pace. Il documento esamina l'evoluzione storica dei quadri giuridici internazionali volti a proteggere il patrimonio culturale, concentrandosi sugli strumenti chiave pertinenti al regime giuridico dell'UNESCO e ponendo l'accento sugli oggetti culturali. Il documento evidenzia come il saccheggio e la distruzione di questi beni in tempo di guerra, in particolare durante le guerre mondiali, abbiano lasciato un'eredità duratura di perdite culturali. Inoltre, analizza le sfide che continuano a porsi nella protezione delle espressioni del patrimonio culturale in tempo di pace, dove persistono il traffico illecito e l'appropriazione illegale di oggetti culturali. Attraverso questa analisi, l'articolo fa luce sui dilemmi etici e legali che circondano la restituzione, sottolineando l'importanza di riconoscere le diverse espressioni del patrimonio culturale come aspetti fondamentali dell'identità e della riparazione. L'articolo si conclude affrontando il ruolo di organizzazioni internazionali come l'UNESCO nel promuovere un dialogo globale sulla restituzione culturale, evidenziando la necessità di un approccio equilibrato per preservare l'integrità fisica e culturale del patrimonio in un mondo sempre più globalizzato. Lo studio mantiene un carattere prevalentemente giuridico e poggia su un solido punto di vista teorico, basato sull'analisi della bibliografia e dei documenti internazionali.
In questo articolo presento Storie che Riconnettono (StR), una metodologia emergente progettata per sostenere culture di pace in tempi di policrisi. Adottando un approccio autobiografico, offro una riflessione sulla nascita di StR nel corso del mio lavoro come facilitatrice e formatrice. StR è emerso dal bisogno di connessione, dalla necessità di onorare il dolore e dall'impegno nel coltivare speranza—anche in un contesto di crescente violenza e polarizzazione. Innanzitutto, colloco StR all'interno dell'attuale policrisi attraverso la lente della Theory U e inquadro la pace secondo la visione di Johan Galtung ed Elise Boulding. Illustro i tre principali riferimenti teorici - Focusing, The Work That Reconnects e Theory U - che plasmano l'approccio, il linguaggio, la mappa e la matrice di StR. StR si sviluppa in uno spazio estetico, dove le arti sociali permettono di co-percepire la realtà presente e il suo massimo potenziale futuro. Al cuore del processo vi è una chiamata alla connessione, alla compassione e al coraggio—rafforzando le capacità di empatia, auto-empatia, staying-with, immaginazione e creatività attraverso pratiche come il radicamento (grounding), l'ascolto profondo e la creazione collettiva di narrazioni. Questo articolo pone le basi per programmi di educazione alla pace e percorsi di riconciliazione, riconoscendo che questo lavoro—come una fotografia mossa—è fluido, in continua evoluzione e profondamente radicato nell’esperienza vissuta.
La crisi del paradigma moderno di giustizia ha fatto emergere una nuova imago Iustitiæ: quella riparativa. In questo saggio vengono analizzate alcune traiettorie genealogiche che soggiacciono a questo nuovo modello che ha fatto la sua apparizione teorica negli anni Ottanta del XX secolo. L’analisi esplora la giustizia riparativa nei termini di un approccio teorico e pratico radicalmente differente rispetto alla funzione meramente retributiva della pena. Essa, infatti, è orientata verso la ricucitura e la ricomposizione dei legami relazionali e sociali, mettendo al centro la figura della vittima. Nel saggio, in particolare vengono ricostruite due possibili traiettorie, che seppur collaterali, aiutano a complessificare il fenomeno della giustizia riparativa. In primo luogo, attraverso la letteratura femminista sulla vulnerabilità si delinea una nozione di vittima intrecciata alla rivoluzione della giustizia riparativa. Secondariamente, viene rintracciato il rapporto tra governamentalità neoliberale e giustizia riparativa.
Il contributo intende analizzare il tema del ricongiungimento familiare per i minori stranieri non accompagnati (MSNA), affrontando le principali criticità della normativa italiana ed europea. In particolare, si esamina l’applicazione pratica delle disposizioni previste dalla Legge 47/2017 e dal Regolamento Dublino III. Si vuole evidenziare la complessità della procedura di ricongiungimento, aggravata dalla mancanza di protocolli omogenei e dalla frammentazione delle competenze tra diverse autorità. Inoltre, si sottolinea la necessità di percorsi di formazione per i tutori volontari e per gli operatori del settore, al fine di migliorare la gestione dei casi e garantire il superiore interesse del minore. L’analisi suggerisce un maggiore coordinamento tra istituzioni e servizi, per garantire un’efficace tutela dei diritti dei MSNA.
Questo articolo esplora le complesse dinamiche della mobilità internazionale lungo le rotte balcaniche, analizzando le ripercussioni delle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea sulle esperienze vissute dai migranti. Attraverso un approccio etnografico fondato sull’osservazione partecipante e sul lavoro sul campo condotto in collaborazione con un movimento indipendente in Bosnia-Erzegovina, lo studio dimostra come i confini operino non soltanto come demarcazioni territoriali, ma anche come costrutti politici, sociali e di classe. Le testimonianze dirette raccolte rivelano pratiche sistematiche di respingimenti e violenze alle frontiere, inclusi casi di tortura e trattamenti disumanizzanti lungo il confine croato-bosniaco. L’articolo avanza inoltre riflessioni sociologiche sul nesso tra violenza di Stato e controllo dei confini, nonché considerazioni politiche in merito alle responsabilità istituzionali nella gestione delle frontiere esterne dell’UE.
Il cambiamento climatico (CC) è un fattore scatenante di numerosi disastri ambientali e di fenomeni meteorologici estremi, che si intensificano progressivamente con l'aumento della temperatura media del pianeta. Le conseguenze di questi eventi hanno un impatto diverso sulle popolazioni, evidenziando una serie di ingiustizie e disuguaglianze, oltre a favorire il verificarsi di conflitti violenti. Il CC, quindi, oltre che una crisi ambientale diffusa, appare anche come una questione di sicurezza internazionale (e nazionale). L'analisi proposta in questo articolo, quindi, ricostruisce la relazione tra clima, giustizia e conflitto, sostenendo che per raggiungere un futuro neutrale dal punto di vista climatico è necessario promuovere una transizione orientata alla pace. In questo scenario, il diritto emerge come strumento fondamentale, soprattutto attraverso la promozione di cause climatiche - come l'agenda verde brasiliana, che viene esaminata come caso di studio. Nell'articolo si sostiene che il percorso verso una società più sostenibile e capace di affrontare i cambiamenti in corso deve essere orientato da una prospettiva di giustizia climatica: per garantire la resilienza e promuovere la pace ambientale, tutti i popoli dovrebbero essere inclusi come parte attiva della transizione.
Il presente lavoro presenta un’analisi delle interconnessioni tra rischi economici, sociali e ambientali e individua “percorsi capacitanti”, al fine di anticipare, affrontare, gestire, recuperare e adattarsi alle ripercussioni avverse derivanti da rischi ambientali. Per individuare percorsi capacitanti, è stato adottato un approccio metodologico basato sullo studio di caso, concentrando l'attenzione sulle specificità della regione Emilia-Romagna, scelta a seguito del rischio ambientale reso evidente dall'alluvione del maggio 2023. La metodologia integra l'analisi di dati statistici secondari con cinque interviste semi-strutturate condotte con informatori qualificati. Ciò ha consentito di esplorare in profondità i rischi economici, sociali e ambientali, nonché le risorse di cui dispongono individui e comunità. L'analisi delle testimonianze ha messo in luce il ruolo fondamentale della partecipazione attiva attraverso gruppi organizzati nell'incremento delle capacità sociali per contrastare i rischi provenienti da eventi climatici estremi. I comitati cittadini presi in esame non solo forniscono un supporto immediato e tangibile di varia natura, ma svolgono anche una funzione cruciale nella riaffermazione della coesione sociale in periodi di crisi.