Il presente articolo ricostruisce e analizza le origini della politica europea di esternalizzazione del controllo delle frontiere, intesa come strategia di coinvolgimento dei paesi di origine e transito nella gestione dei flussi di migranti e richiedenti asilo e nell’azione di contrasto all’immigrazione irregolare, intesa come ingresso o soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle norme stabilite dal paese di arrivo. Mentre la letteratura giuridica e politologica si è concentrata prevalentemente sul rapporto con i paesi non comunitari e sugli sviluppi avvenuti nell’ultimo quarto di secolo, questo studio intende mostrare come le attuali pratiche europee di esternalizzazione siano cominciate alla metà degli anni Ottanta e come i paesi della periferia meridionale della Comunità Europea (CE) abbiano fatto da apripista rispetto a questo processo. Questa ricerca, inoltre, mostra come i sistemi di Schengen e di Dublino, ancora alla base della politica migratoria e di asilo europea, fossero essenzialmente mossi da una logica di “esternalizzazione interna”, che è stata poi ampliata fino a ricomprendere paesi europei, asiatici e, soprattutto, africani sempre più esterni rispetto alla CE e, più tardi, all’Unione Europea.

In questo articolo, la pace viene concettualizzata in chiave dinamica. Questa nuova prospettiva si traduce in azioni radicalmente nuove che non vertono sulla contrapposizione rispetto alla guerra e alla violenza, ma mirano al togliere “il terreno sotto i piedi” alla violenza immaginando mondi diversi capaci di realizzare la pace intesa non come fine della guerra o eliminazione della violenza ma come pienezza di vita per tutte e per tutti. Accanto a un processo caratterizzato da contrapposizione e lotta verso i poteri esistenti, sia pure con metodi nonviolenti, esiste, infatti, un’altra possibilità: costruire dal basso la nuova realtà senza contrapporsi esplicitamente alla vecchia. Questo è quello che, ad esempio, avviene con le prime comunità cristiane, in particolare quelle paoline. Comunità che, senza esplicitamente contrapporsi all’ordine esistente, nei fatti lo ignorano costruendo una realtà nuova e del tutto alternativa a quella esistente. Questo nuovo sguardo comporta la sostituzione di rigide classificazioni binarie con classificazioni basate sui cosiddetti insiemi “fuzzy”, non solo a due valori (pace/guerra, pace/nonviolenza), ma capaci anche di includere zone di incertezza attraverso le quali passare con gradualità. Gli esempi proposti di costruzione di “mondi altri”, presi da contesti radicalmente diversi legati ai conflitti dell'ultimo secolo, serviranno a illustrare questa nuova prospettiva.

Call for papers

 

Johan Galtung: his life, work, and legacy

 

Johan Galtung, who recently died, was, as is widely known, a prominent Norwegian scholar, trained as a social scientist and statistician, and a principal founder of Peace Studies as an academic discipline. Galtung was also a prolific author and politically engaged conflict analyst and transformer. He was the main founder of the Peace Research Institute in Oslo (PRIO) in 1959, the world’s first academic institute with “peace” in its name, and founded the Journal of Peace Research in 1964.

His research spanned a large number of important topics over 60 years, including peace and conflict, violence, peaceful conflict transformation, non-offensive defense, development strategies, a structural theory of imperialism, and a geopolitical theory of civilizations.

This is a call for papers for a special issue focused on the person, contributions, and legacy of Johan Galtung.

Guest Editor Valentina Bartolucci, an acknowledged Peace and Conflict Studies scholar, leads this special issue. The guest editor will write an introduction to the special issue outlining how, in line with the aims of the “Rivista Scienza e Pace – Science and Peace (SP)”this special issue contributes to current debates regarding Johan Galtung and his legacy.

We are looking for academic articles of 20.000-50.000 characters in length (including spaces), in English, adhering to the “Editorial Guidelines” that can be found here, and that focus on one or more of the following themes:

- Galtung's life

- Galtung's theoretical contributions

- Galtung's practical contributions

- Galtung's legacy focused principally on critical examinations of his scholarly contributions

- further developments in peace and conflict studies

Submissions must be the original work of the author that have not been published previously, either in whole or in part, either in print or electronically, or that are soon to be so published. All submissions will be carefully considered, with no guarantee of acceptance. All submissions will be anonymously peer-reviewed.

Please submit an abstract of about 300 words no later than September 15, 2024. Upon acceptance, the final version of the paper will have to be sent no later than December 15, 2024 to Valentina Bartolucci (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

 

 

Dal 5 al 9 novembre 2024, il Centro Interdisciplinare "Scienze per la Pace" (CISP) dell'Università di Pisa ospiterà la Conferenza annuale dell'European Peace Research Association (EuPRA): Towards Utopias of Peace. Theories and Practices of Peace, Hope and Resistance in Troubled Times. La relativa call for papers è accessibile qui. Gli abstract devono essere scritti in inglese e vanno inviati entro il 29 febbraio 2023.

I partecipanti alla Conferenza EuPRA 2024 sono invitati a inviare i loro papers a "Scienza e Pace / Science and Peace", la rivista online ad accesso libero del CISP, per essere considerati ai fini della pubblicazione. Qui sono consultabili le norme editoriali della rivista. I lavori ricevuti dal Comitato editoriale (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.) entro il 31 gennaio 2025, e accettati dopo una revisione tra pari con doppia lettura anonima, saranno inclusi in un numero monografico. I lavori ricevuti dopo questa data, una volta accettati, saranno pubblicati in altri numeri a tema misto.

 

Ha senso un approccio comparativo del genocidio nella storia moderna? Prendendo l’olocausto come punto di partenza, in questo paper analizzo l’uso che è stato fatto del termine “Holocaust” e dei riferimenti ad esso - anche come categoria morale e politica - nei media internazionali e negli atti del Tribunale Internazionale per la Ex Jugoslavia (ICTY) dove, per la prima volta, fra i capi di imputazione è comparso il “genocidio” per i fatti di Srebrenica. Ricerco dapprima i riferimenti al processo di Norimberga nei lavori dell’ICTY, nella stampa e nelle parole di politici. Anche negli atti dell’ICTY e in discorsi ufficiali evidenzio il ricorso a un confronto con l’olocausto. In secondo luogo, metto in evidenza nel dibattito mediatico che si è sviluppato attorno alla guerra in Bosnia i riferimenti a quanto è accaduto in Europa tra il 1943 e il 1945, sia per la creazione di campi di concentramento nella Bosnia settentrionale a partire dal 1992, sia per quanto riguarda il genocidio di Srebrenica del luglio 1995. Analizzo, dunque, immagini, titoli e articoli di giornali, soprattutto britannici e statunitensi, in cui l’olocausto è richiamato in modo esplicito. In conclusione, intendo sottolineare l’influenza che ha avuto l’olocausto nell’interpretare i fatti relativi alla guerra in Bosnia e allo sterminio di Srebrenica, non solo nel dibattito pubblico ma anche come categoria giuridica.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è stata creata con l'obiettivo principale di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, soprattutto dopo tutte le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. La Carta delle Nazioni Unite, tuttavia, pur consentendo a cinque paesi di godere dello status speciale di Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza corredato dal “diritto di veto”, non prevedeva la possibilità che questo diritto potesse minare l'intero funzionamento dell'organizzazione. Così, il conflitto in corso tra Russia e Ucraina, dove un uso non autorizzato della forza è stato perpetrato proprio da uno dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, mette in luce la fragilità dell'ONU: il diritto di veto ha concesso alla Russia il potere di bloccare il Consiglio di Sicurezza. Questo ha chiamato l'Assemblea Generale ad agire, ma poiché le sue risoluzioni non sono vincolanti, esse non comportano l'obbligo di obbedienza da parte di nessuno Stato. A fronte di ciò, questo paper attraverso il metodo deduttivo, basato su ricerche bibliografiche e documentali, riflette sulle prospettive dell'ONU e del suo ruolo nell'ambito della pace e della sicurezza, concludendo che le sue limitate possibilità di azione rendono necessaria la ricerca di risposte ulteriori e più ampie nell'ambito del diritto internazionale.

Il presente lavoro discute la portata e il grado di attuazione del principio di solidarietà, che giustifica l'azione dell'Unione Europea sia all'interno che all'esterno dei propri Stati membri, in relazione alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e alla realtà della violazione di questi diritti in Brasile, come esemplificato dal gran numero di minori privati della libertà nei centri di detenzione socio-educativi. La letteratura sull'argomento viene passata in rassegna per identificare la possibilità legale dell'Unione Europea di operare al di fuori del proprio blocco di Stati membri, allo scopo di proteggere i diritti di questi giovani. I dati secondari sono utilizzati per illustrare la realtà di tali violazioni dei diritti dei giovani, sia quando entrano in conflitto con la legge sia quando sono vittime dell'azione dello Stato, come modo per giustificare una possibile azione dell'Unione Europea in Brasile. I precetti degli studi decoloniali sono utilizzati per esaminare come questa applicazione del “principio di solidarietà” potrebbe essere resa operativa, nella consapevolezza che l'unico modo possibile per raggiungere questo obiettivo comporterebbe l'assunzione di responsabilità per gli investimenti economici nella riduzione delle disuguaglianze.

La raccolta degli scritti e degli interventi di Enrico Berlinguer dedicati al tema della pace, curata da Alessandro Höbel, esce con tempestività nel momento in cui si combatte un’altra guerra in Europa. Dalla lettura dei testi emerge come per Berlinguer il nesso tra politica estera e politica interna fosse centrale, e la pace fosse pensata come la condizione di un nuovo modello di sviluppo su scala mondiale. Dalla rivendicazione di autonomia dall’URSS per la costruzione di una “via italiana al socialismo”, alla elaborazione di un’idea di austerità intesa come giustizia sociale nel rapporto tra Nord e Sud del mondo, fino alla battaglia contro l’installazione degli euromissili, possiamo ben dire che per Berlinguer la pace veniva prima di tutto. La raccolta è aperta da una sapiente introduzione del curatore, che interviene anche in premessa a ogni capitolo per inquadrare storicamente il momento in cui il discorso o l’articolo veniva pronunciato o scritto.

In un secolo, tra il 1890 e il 1981, la stampa missionaria introdusse un linguaggio rinnovato nei confronti dei popoli africani. Ciò avvenne di concerto con il processo di avvicinamento della Santa Sede all’Africa e al Terzo Mondo che, sebbene riscontrabile in nuce fin dal XIX secolo, emerse nei suoi tratti principali e evidenti dalla seconda metà del Novecento. Per un primo sguardo si è deciso di porre a confronto tre differenti pubblicazioni su vicende legate alla liberazione di schiavi e all’impegno anti-schiavistico posto in essere dai missionari cattolici, attività considerata fondamentale dalla Chiesa nel definire il significato della sua presenza in Africa. Innanzitutto è stato esaminato un romanzo intitolato Avorio Nero edito per la prima volta nel 1959 e ristampato per la seconda volta nel 1981, a distanza di ventidue anni di tempo. Il confronto tra le due edizioni è stato utile per dimostrare come il genere letterario missionario si sia trasformato durante la seconda metà del XX secolo di conserva con i mutamenti politici e dottrinali che investirono, a macchia di leopardo, le istituzioni cattoliche. L’analisi delle due edizioni è stata raffrontata con una lettera pubblicata nel 1890 sulla rivista Missione Cattolica dai missionari francesi presenti in Senegambia, nella quale è descritto un episodio di liberazione di una schiava. La comparazione è determinante perché restituisce continuità e discontinuità sul lungo periodo nella pubblicistica missionaria. Seppur differenti, giacché il primo è un romanzo di fantasia e il secondo una lettera di corrispondenza, si ritiene che sia utile porre i due tipi di documento a confronto soprattutto perché trattano lo stesso argomento (la liberazione degli schiavi in Africa) e sono entrambi indirizzati ai lettori delle pubblicazioni missionarie e, quindi, pensati per un pubblico vasto e trasversale (donne, uomini, ragazzi). Ci interessa infatti comprendere come l’opinione pubblica italiana abbia recepito la lotta alla schiavitù posta in essere dalle missioni cattoliche. Il fatto dunque che il caso di fine Ottocento si svolga in Senigambia e i romanzi della seconda metà del Novecento siano ambientati in Kenya poco intacca l’obiettivo di partenza perché rileva provare a ricostruire la storia delle idee e l’immaginario creatosi intorno alla prassi missionaria e non già l’atteggiamento delle missioni in quei territori.

Il presente lavoro consiste in un’analisi della funzione del conflitto nel pensiero etico-politico di Spinoza, a partire dal modo in cui viene definita e valutata l’indignatio nella terza e quarta parte dell’Etica e al ruolo attribuito ai moti d’odio della multitudo nel Trattato Politico. Mentre evidenziamo una certa tensione nel passaggio dall’opera etico-metafisica a quella più spiccatamente politica, dove l’autore si assume come ineliminabile e costitutiva la presenza, nello stato, di desideri inadeguati e segnati dalla contrarietà, definiremo che valore – di utilità e dannosità – Spinoza assegni all’indignazione nell’ambito delle relazioni interumane e nel consesso politico. Questo percorso ci permetterà di individuare due tipi di conflitto ascritto alla sua teoria politica: il conflitto regolativo dell’attività delle istituzioni e della sovranità; il conflitto costituente in quanto capace di radicali trasformazioni in situazioni di profonda corruzione. Più nello specifico, evidenzieremo lo statuto combinatorio della vita affettiva al fine di guardare alla costituzione di uno nuovo stato evitando di ridurla ad affetti isolati di contrarietà e, allo stesso tempo, l’esclusione assoluta di un contributo dell’indignazione e della discordia nella transizione da una forma di organizzazione politica ad un’altra.

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