Annate / 2017 / Federico Oliveri

Il terrorismo è diventato una realtà in molte parti del mondo. Sebbene risalga a millenni fa e sia stato presente nel corso dei secoli, è diventato particolarmente significativo nel mondo con eventi come le campagne contro Israele, inclusi gli attacchi alle Olimpiadi di Monaco del 1972, le azioni di Al Qaeda inclusi gli attacchi dell'11 settembre e gli attacchi dell'ISIS in Medio Oriente, Europa e altrove. C'è stata anche una grande ondata di attacchi da parte di gruppi di estrema sinistra nell'Europa occidentale a partire dalla fine degli anni '60 e in altri luoghi, nonché violenze da parte di movimenti indipendentisti. Poiché il terrorismo continua a rappresentare una minaccia per i governi e le popolazioni, è stato suggerito la violenza terroristica abbia tra le altre cose un impatto economico negativo. Le analisi che seguono si concentrano sugli effetti economici delle campagne terroristiche dei gruppi nazionalisti baschi in Spagna, dei gruppi repubblicani irlandesi operanti in Irlanda del Nord, e dei gruppi estremisti italiani come le Brigate Rosse (BR).

La pandemia di COVID-19 è stata uno shock globale con conseguenze drammatiche sui debiti dei governi chiamati ad alleviare l'impatto economico e sociale della crisi su imprese e famiglie. Esploriamo in questo paper le condizioni per la fattibilità di un alleggerimento del debito pubblico (generato dal COVID-19) relativo alle obbligazioni detenute dalla BCE, che può essere giustificato dalle caratteristiche esogene dello shock. Descriviamo diversi modi tecnicamente ed economicamente fattibili (che comportano il "congelamento" del debito, la rinegoziazione del debito o la cancellazione totale del debito) per raggiungere questo obiettivo e discutiamo le loro conseguenze sull'azzardo morale e sui bilanci della Banca centrale europea. Esaminiamo anche il loro potenziale impatto sull'indipendenza, sulla reputazione della BCE e, in definitiva, sull'inflazione e sui tassi di cambio. Discutiamo infine le preoccupazioni distributive che sorgono per una Banca Centrale operante in un'Unione con diversi Stati membri sovrani come nell'Eurozona.

In Italia il fenomeno della migrazione ha assunto nuovamente l’aspetto di un’emergenza nel dibattito pubblico (Carta 2018) con il Decreto Legge “Immigrazione e Sicurezza” (legge n. 132/2018): la normativa in questione rappresenta una grave recessione nell’architettura del sistema di protezione italiano. Il presente articolo è un tentativo di esaminare il Decreto-Legge Immigrazione-Sicurezza e i suoi effetti socio-economici regionali, assumendo la Toscana come caso di studio. La riforma voluta dall’ex Ministro dell’Interno Salvini è stata criticata dalle organizzazioni della società civile per l’abbassamento degli standard di protezione, la violazione delle garanzie dei diritti costituzionali e l’inasprimento della tensione sociale sulla migrazione (AIDA 2018). Composto da 40 articoli, 15 dei quali dedicati all’immigrazione, alla protezione internazionale e alla cittadinanza, il cosiddetto “Decreto-Legge Salvini” ha comportato alcuni effetti rilevanti nei diversi contesti regionali e locali italiani. Infatti, anche se un ruolo importante nelle politiche generali relative al fenomeno della migrazione è svolto dal governo nazionale, in Italia le politiche specifiche di integrazione e accoglienza per i migranti sono messe in atto attraverso azioni coordinate a livello nazionale, regionale e locale. In questo contesto complesso, introduciamo un quadro concettuale per analizzare gli effetti del Decreto-Legge sui contesti regionali e per avanzare ipotesi sulle strategie che i responsabili delle politiche locali e regionali (ma anche attori non-statali) dovrebbero perseguire. Nello specifico, l’articolo mette in luce le sfide che la nuova Legge apre nei settori dell’accoglienza e dell’integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Il caso di studio della Regione Toscana è stato scelto sulla base del suo noto modello di welfare e della sua forte struttura in termini capitale sociale. I risultati dello studio sono indicati e organizzati in un’analisi SWOT a posteriori.

Nel contesto della diffusione del populismo in tutto il pianeta, la migrazione viene molto spesso politicizzata, e i migranti accusati di causare la perdita del lavoro e lo scarso rendimento dei servizi di sussidio e per la salute. I populisti di destra esasperano queste affermazioni, alimentando e sfruttano il prosperare del razzismo e della xenofobia. Sinora in ambito accademico l’accento sul populismo globale ha finito per tralasciare l‘importanza delle esperienze locali nella comprensione di queste dinamiche e nella formazione degli orientamenti degli elettori. Questo paper prende in esame il Sud Italia, sostenendo che la migrazione gioca un ruolo rilevante nel promuovere il ricorso alle impalcature populiste, ma in relazione alle ineguaglianze socioeconomiche e alla storia locale della zona.

Nonostante la migrazione venga normalmente considerata a livello macroscopico come fenomeno geopolitico e come catalizzatore di cambiamenti socioeconomici (l’impatto sulla povertà nei paesi natale e ospitanti, l’impatto sulla crescita economica, l’impatto sul capitale umano), l’approccio fondato sulle “funzionalità” o “capacità” (Sen, 1987; 1995) afferma che anche essere in grado di scegliere dove vivere è un elemento fondamentale della libertà umana. Partendo dal 2000, l’Italia ha avuto la più alta crescita relativa della popolazione migrante (Caritas Italiana, 2019) nell’Unione Europea (UE). Il numero di richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e rifugiati ospitati ed assistiti dal sistema di accoglienza è notevolmente aumentato tra il 2011 e il 2017 (UNHCR, 2020). Di conseguenza, si è presentata una nuova sfida: come strutturare un sistema di accoglienza capace di sostenere i migranti attraverso la promozione della loro integrazione nelle comunità di accoglienza e favorendo la loro autonomia al termine della procedura d’asilo. Il fine dell’articolo è quello di descrivere l’evoluzione del benessere (in più dimensioni) e delle capacità dei migranti nel corso della loro esperienza di migrazione, concentrandosi particolarmente sul ruolo giocato dal sistema di accoglienza. L’articolo analizza tre casi di studio che sono stati studiati tra il 2015 e il 2019 in due regioni italiane, Toscana e Piemonte. La ricerca si avvale di metodologie partecipative innovative, tra cui discussioni di gruppo strutturate su un obiettivo centrato e rilevamenti partecipativi, con il fine di coinvolgere direttamente i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale.

Negli ultimi vent’anni i paesi europei, mentre lavoravano a realizzare un Sistema d’Asilo Europeo Comune (SEAC) capace di armonizzare il quadro legislativo degli stati membri e definire dei criteri minimi comuni, hanno conseguito al tempo stesso degli obiettivi nazionali: hanno implementato politiche restrittive riguardo i migranti forzati, per dissuadere il flusso e deviare i rifugiati verso paesi vicini. Insieme alle politiche migratorie, i programmi per l’integrazione dei nuovi arrivati previsti nei paesi dell’Unione Europea potrebbero comportare un aumento della qualità della vita, inducendo così i migranti a spostarsi da un paese all’altro. Si tratta allora di analizzare gli effetti delle politiche per l’integrazione dal 2006 al 2018 sui movimenti secondari dei richiedenti asilo. Si intende sostenere che le politiche per l’integrazione mostrano legami importanti con i movimenti secondari dei richiedenti asilo nei paesi europei mentre, più in generale, le politiche dell’immigrazione possono piuttosto influenzare il flusso primario, di accesso nell’Unione Europea.

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