Dopo Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen e Libia è l’ora dell’escalation militare USA in Africa centrale. Assassinati Osama Bin Laden e Gheddafi, il nemico number one dell’amministrazione Obama è divenuto Joseph Kony, il capo supremo del Lord’s Resistance Army (Esercito del Signore), l’organizzazione di ribelli ugandesi che dalla seconda metà degli anni ’80 ad oggi si è macchiata di gravi crimini contro l’umanità, massacri, stupri e rapimenti di bambini e adolescenti.
Con una lettera al Congresso, il presidente Barack Obama ha annunciato l’invio in Africa centrale di un “piccolo numero di militari equipaggiati per il combattimento” per “fornire assistenza alle forze armate locali impegnate a sconfiggere Joseph Kony”. Si tratta, in una prima fase, di un team di “consiglieri” delle forze operative speciali USA, il cui numero dovrebbe crescere entro un mese a un centinaio tra militari e “civili”, compreso un “secondo gruppo equipaggiato al combattimento con personale esperto in intelligence, comunicazioni e logistica” (Vandiver, 2011b). I militari hanno raggiunto l’Uganda, ma successivamente le forze armate statunitensi potrebbero estendere il loro raggio d’azione al Sudan meridionale, al Darfur, alla Repubblica Centroafricana e alla Repubblica Democratica del Congo. Il controllo della missione è stato affidato allo Special Operations Command - Africa, il comando per le operazioni speciali nel continente con sede a Stoccarda (Germania). [...]
Durante le proteste in piazza Tahrir nel novembre 2011, Mohamed Ali, 20 anni, ha risposto alla domanda di un giornalista sul motivo per cui era lì: "Vogliamo giustizia sociale, niente di più, è il minimo che meritiamo".
Il primo round dei movimenti ha assunto molteplici forme in tutto il mondo: la cosiddetta primavera araba, i movimenti Occupy che iniziano negli Stati Uniti per poi diffondersi in un gran numero di paesi, Oxi in Grecia e gli indignati in Spagna, le proteste studentesche in Cile e molti altri. Sono stati un successo fantastico. Il grado di successo può essere misurato da un articolo straordinario scritto da Lawrence Summers sul Financial Times il 21 novembre, con il titolo: "La disuguaglianza non può più essere tenuta lontana dalle solite idee". Questo non è un tema per il quale Summers è stato precedentemente conosciuto. [...]
Se si pensa al significato comune delle parole “ambiente” e “guerra”, si può avere l’impressione che non abbiano nulla a che vedere l'una con l’altra. A prima vista, le due nozioni sembrano appartenere a due mondi separati: la prima evoca immagini di vita e di benessere, la seconda è immancabilmente legata a pensieri di morte e distruzione. Basterebbe fermarsi a riflettere per scoprire che esistono molteplici e complesse interconnessioni fra “ambiente” e “guerra”, anche se ciò traspare raramente nei dibattiti pubblici e politici in materia. In genere, infatti, quando si parla di guerra si tende a presentare la situazione da un punto di vista politico, socio-economico o umanitario, trascurando gli aspetti ambientali. Allo stesso modo, quando si analizzano gli impatti delle attività antropiche sui sistemi naturali, difficilmente si prende in considerazione la realtà militare e bellica, e si focalizza l’attenzione quasi esclusivamente su quella civile. Eppure, per preparare le guerre vengono utilizzati fino a 15 milioni di km2 di terra (più dell’intero territorio dell’Europa) e il 6% del consumo di materie prime, producendo circa il 10% delle emissioni globali di carbonio l’anno (Machlis e Hanson, 2008). [...]
Tra il cibo di cui ci nutriamo e la rete in cui navighiamo passa un filo possibile. La cruna dell’ago utile a tessere questo intreccio è costituita da una nuova consapevolezza di cosa sia l’alimentazione oggi. Tale rinnovata cognizione possiamo condensarla in un’espressione evocativa: se si guarda il cibo si vede ciò che si mangia, se si guarda il mondo attraverso il cibo si vedono una pluralità di fattori che condizionano a fondo il presente e il futuro delle donne e degli uomini.
Lungi dall’essere semplice da “digerire”, questa prospettiva richiede di essere spiegata con lentezza affinché si possa arrivare a farne il fondamento per una rinnovata operatività individuale e collettiva. Un’analisi ragionata, propedeutica ad un cambiamento nei modi di agire, non può non tener conto della necessità di elaborare ed applicare categorie di nuovo tipo: qualitative, integrate e plurali. Il modello tradizionale di analisi utilizzato dagli studi del settore insegna, invece, a mettere al centro ed in immediata evidenzia la quantificazione del Prodotto Interno Lordo e tutto ciò che attiene alla produzione, alla trasformazione ed al consumo di merci. [...]
Uno degli enormi e più urgenti problemi della moderna politica post-democratica è il suo intreccio con potenti interessi economici e la conseguente perdita di autonomia. Colin Crouch ha sottolineato come in un contesto neoliberista "le azioni economiche del governo vengano distorte da lobby con accesso politico privilegiato" (Crouch, 2004, xi).
Questa distorsione equivale ad una vera e propria estorsione dove - come è comune nell'attuale economia globalizzata - le grandi società "hanno sovente superato la capacità di governance dei singoli Stati nazionali"(ibid., 29) e sono state quindi in grado non solo di avere voce in capitolo riguardo la politica nazionale come parti interessate ugualmente rappresentate, ma anche per influenzare le decisioni del governo in modo tale da renderle dipendenti dal consenso di un ristretto consiglio esecutivo. Se le politiche fiscali o sindacali di un paese non soddisfano i bisogni di queste corporation, "loro minacceranno di andare altrove" (ibid., 32). [...]
Secondo quanto previsto dalla legge 185/90, il 1° aprile 2011 è stato presentato il rapporto sull’export di armi italiano per il 2010. Nell’anno appena trascorso il Ministero degli Affari Esteri ha rilasciato 2.210 autorizzazioni all’esportazione di materiali d’armamento per un valore complessivo di 2.906.288.705,85€, a fronte dei 4.914.056,83€ del 2009, segnando una contrazione su base annua del 40,86%. A rendere ancora più negativo il dato, vi è la crescita (+61,32%) registrata nel 2009. Una forte contrazione si registra anche nelle autorizzazioni alle esportazioni legate ai programmi intergovernativi, che passano da 1.820.702,61 di euro nel 2009 a 345.430.573,38 di euro nel 2010. Il minor livello di autorizzazioni va attribuito, secondo il rapporto, alla progressiva conclusione di alcuni programmi europei di cooperazione e al minor numero di commesse internazionali dovuto all’attuale crisi economico-finanziaria. Va, comunque, ricordato che rispetto al crollo degli ordinativi industriali in molti settori civili, il comparto militare italiano è riuscito complessivamente ad arginare le perdite. [...]
Le bombe a grappolo (cluster munition, o anche cluster bomb) sono ordigni esplosivi che spargono altri ordigni più piccoli (bomblet o sub-munition, bombette o sub-munizioni) progettati in genere per colpire persone o veicoli nemici. Altre armi della stessa classe possono essere invece predisposte per rendere inutilizzabili piste d’atterraggio, linee elettriche, o anche per disperdere armi chimiche o biologiche. Al di là di un giudizio sul loro uso strettamente militare, i danni provocati alle popolazioni civili durante, e soprattutto dopo, un attacco sono enormi a causa della disseminazione di numerosi ordigni inesplosi su vaste aree. Durante l’attacco queste armi producono effetti indiscriminati se usate in aree popolate, ma l’aspetto forse più grave è che le bomblet inesplose, al pari delle mine anti- persona, continuano poi a uccidere e mutilare civili per lungo tempo dopo che il conflitto è terminato. D’altra parte, come è noto, localizzare ed eliminare tali sub-munizioni è difficile e molto costoso. [...]
The September 11, 2001 events brought with their sorrow also a drastic reconfiguration of international security's top priorities. In the aftermath of the September 11 events the new global enemy was Islamist terrorism, Arab countries were its natural stronghold, and Muslims quickly became the 'risk- group' to be kept under control. The only possible answer to the 'devil of terrorism' was violence and the 'western' victory against it was an absolute certitude. In a very short amount of time, terrorism came to be seen as the greatest existential threat humanity was facing, Islamist terrorism was the 'new Antichrist', and America the nation that once again would have saved our freedoms and us all (in the 'west'). [...]
Il 2011 è iniziato nel segno delle rivolte nel mondo arabo, seguite ora con entusiasmo ora con allarme da un’Europa destabilizzata dalla crisi e attraversata da mobilitazioni contro le politiche di austerità. In Tunisia e in Egitto le proteste sono riuscite in tempi abbastanza rapidi a sostituire i governi autoritari e corrotti in carica da decenni, avviando una faticosa stagione di riforme in nome di maggiore libertà e democrazia. In altri paesi, come la Siria, lo Yemen e il Bahrein, le rivolte popolari non hanno ancora trovato sbocco politico, anzi sono oggetto di repressione da parte dei governi in carica. In Libia la situazione è precipitata in un conflitto armato aperto tra fazioni pro e contro Gheddafi, queste ultime protette militarmente dalle potenze occidentali. Qual è la natura di questi movimenti di rivolta dall’esito così diverso? Si tratta di un unico grande movimento o prevalgono le differenze nazionali? [...]
Quando, il 17 dicembre dello scorso anno, il venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi si diede fuoco nessuno avrebbe immaginato la serie di effetti a cascata che questo gesto disperato di protesta avrebbe innescato. Meno di un mese dopo il presidente-dittatore Zine el-Abidine Ben Ali sarebbe stato costretto a lasciare il paese. E subito dopo l'incendio raggiungeva l'Egitto. Il 25 gennaio 2011 i giovani egiziani scendevano nelle strade del Cairo, iniziando una rivolta che in meno di tre settimane ha costretto un altro presidente-dittatore, Hosni Mubarak, a lasciare il potere. Una rivolta che avrà conseguenze di ben maggiore portata di quella tunisina, e questo per il ruolo chiave svolto dal Cairo in Medio Oriente e, in particolare, nei rapporti con Israele. [...]