Giustificare la guerra? Riflessioni sul conflitto in Ucraina

Abstract

Il sostegno al governo ucraino nella guerra contro l’invasione russa è giustificato, nell’opinione pubblica italiana (ed europea), con l’esigenza difendere un popolo aggredito: si tracciano paralleli tra la situazione in Ucraina e la lotta partigiana al nazifascismo, e si insiste sul fatto che non è possibile costruire la pace senza ristabilire il diritto violato da parte del governo di Putin. In questo articolo si mette in evidenza che una simile giustificazione presenta due problemi che la rendono difficilmente accettabile. Il primo è il semplicismo: fondandosi su coppie concettuali grossolane (bene/male, aggressori/aggrediti), essa non permette di cogliere la complessità della situazione e, dunque, di proporre soluzioni efficaci. Il secondo è l’incoerenza tra il mezzo che si vuole utilizzare (la guerra) e l’obiettivo che si intende raggiungere (la difesa del popolo ucraino): un’incoerenza dovuta al fatto che la guerra – specie se protratta nel tempo e condotta con armi altamente distruttive - implica necessariamente per il popolo che la subisce un carico di morte e distruzione almeno paragonabile a quello di una dominazione straniera. In conclusione, l’articolo riflette sul dovere degli uomini e delle donne di studio, che non è quello di dichiarare giusta (o inevitabile, o santa) la guerra, ma quello di richiamare le classi dirigenti e le opinioni pubbliche dei paesi democratici alla necessità di far cessare la violenza, di rimettere la soluzione alle trattative e alla ragionevolezza, di provare a gettare ponti nonostante tutto.

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