Le operazioni di peacekeeping dirette dalle Nazioni Unite e la controversa questione della responsabilità internazionale

Abstract

L’articolo si propone di analizzare la controversa questione di attribuzione di condotta per fatto internazionale illecito nell’ambito delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Il peculiare status delle forze di pace – che sono, al contempo, organi dello Stato mandatario e organi sussidiari delle Nazioni Unite – rendono l’attribuzione di condotta tra Stati e Organizzazione di difficile definizione. In mancanza di un’apposita disciplina convenzionale, l’essenziale riferimento normativo è il Progetto di articoli sulla responsabilità delle Organizzazioni internazionali della Commissione del Diritto Internazionale. L’articolo 7 DARIO (Draft Articles on the Responsability of International Organizations, 2011) stabilisce che la responsabilità per la condotta di un organo posto a disposizione di un’Organizzazione internazionale sia attribuita sulla base del test del “controllo effettivo”. Tale ipotesi, in assenza di specifiche indicazioni circa la sua interpretazione, ha incontrato notevoli difficoltà di applicazione nell’ambito delle operazioni di peacekeeping dirette dalla Nazioni Unite laddove si è dovuto determinare se la responsabilità per la condotta illecita perpetrata dalle forze di pace gravasse sullo Stato mandatario. Come si evince dall’analisi delle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani nei casi Behrami e Saramati e delle Corti olandesi nel caso HN v Paesi Bassi e nel recente caso Stiching Mothers of Srebrenica, la prassi giurisprudenziale relativa all’applicazione del test del controllo effettivo sulla condotta illecita perpetrata dalle forze di pace risulta non omogenea. Si evidenzia, dunque, la necessità di definire un’interpretazione di “controllo effettivo” che rifletta le modalità di comando e controllo delle operazioni e che permetta di superare l’ambiguità istituzionale delle forze di pace.

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