La donna corpo-territorio nell’orizzonte performativo della guerra

Abstract

La guerra contemporanea investe ogni cosa e ogni persona. Tra le vittime civili, le più esposte e vulnerabili sono le donne, incluse ragazze e bambine. Questo articolo indaga come, in determinate guerre, il corpo della donna diventi terreno di forte identità per un gruppo o una nazione e come, su questa identità, il nemico eserciti violenza per affermare la propria superiorità. La donna, identificata col proprio corpo, diventa il territorio simbolico di un attraversamento che, nella violenza sessuale, rende tangibile il superamento di un confine. La disumanizzazione dei popoli, come nel caso dell'ex Jugoslavia o del Ruanda, è iniziata perciò dal corpo delle donne. Non è tanto la violenza sessuale in sé a essere rilevante qui, ma il suo utilizzo come strategia di guerra poggiante su significati sociali ben precisi. Da un lato, l’atrocità compiuta sul corpo femminile anche in pubblico simboleggia l’annientamento permanente della società rivale e si configura come espressione di odio etnico più che di misoginia. Dall'altro lato, l'identificazione della donna come “proprietà del maschio” che si vuole annientare, si radica in una criticabile concezione patriarcale della società.

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