Abstract
Tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 un gruppo di piccoli agricoltori biologici, di attivisti e di lavoratori immigrati lancia dalla Piana di Gioia Tauro la campagna “SOS Rosarno”, ricevendo il sostegno delle reti di economia solidale e l'interesse di varie realtà anti-razziste. L'idea che anima la campagna è semplice, eppure implementa in maniera innovativa una critica radicale al modello dominante di produzione, distribuzione e consumo del cibo, mettendo in atto strategie di trasformazione di tipo strutturale proiettate nel lungo periodo. I promotori della campagna, in sintesi, ritengono che le condizioni indecenti di vita e di lavoro dei braccianti immigrati impiegati nella raccolta degli agrumi, così come le tensioni sociali a sfondo razzista nella Piana, siano dovute alla crisi dell'agrumicultura e, più specificamente, alla crisi di redditività dei piccoli produttori schiacciati dai grossi commercianti, dalla grande distribuzione e dalla competizione internazionale. Se questo fosse vero, la via d'uscita dalle tensioni sociali e razziali, legate a loro volta allo sfruttamento lavorativo e all'impoverimento diffuso, andrebbe cercata innanzitutto in una filiera alternativa e indipendente, costruita ad esempio con i gruppi di acquisto solidale (GAS), attraverso cui vendere direttamente i prodotti ai consumatori più consapevoli. Una simile filiera corta, autonoma dal mercato e dalle sue dinamiche speculative, da un lato può garantire ai produttori un reddito adeguato con cui assumere e retribuire regolarmente i braccianti, oltre che finanziare iniziative solidali; dall'altro lato, può fornire ai consumatori un prodotto di qualità, rispettoso dell'ambiente e del lavoro, a un prezzo accessibile.