Abstract
Il saggio ricostruisce la pratica della Clinica di Malattie Nervose e Mentali di Pisa durante la Prima Guerra mondiale. Più in particolare si fa riferimento all’ampia letteratura sul ruolo dello psichiatra nella società, e sul problema della psichiatria di guerra, già problematizzato e dibattuto nel corso dei conflitti coloniali. Sullo sfondo di questo dibattito ideologico, vissuto in modo polivoco dalla classe dirigente nazionale, si prende in analisi il problema scientifico dell’eziologia traumatica dei disturbi psichiatrici. Si considera in particolare il caso della Clinica di Pisa, e di diversi documenti da essa prodotti. Emerge nei casi considerati, infatti, l’apparente contraddizione di una “malattia impossibile”, diagnosticata presso la popolazione militare ricoverata ma non fra i civili. In effetti, in questo periodo storico, la scienza psichiatrica italiana sembra non contemplare la possibilità che una patologia psichiatrica insorga per una diretta causazione bellica. Si propone di sciogliere questa problematica, nel caso dei documenti presi in esame, rilevando il dettaglio della pratica clinica, che risulta differenziata in questo genere di casi, e considerando alcuni sviluppi successivi.