Recent works have linked the big increase in income inequality in many developed economies since the mid-70s with a mainly market led internationalization, which, on one side puts a downward pressure on the wages of low qualified workers and on the other side pushed upwards the wages of CEOs. This market-led internationalization is fueled by a finance sector, facilitating mergers and acquisitions across the world. The endebtment of firms, countries and households thus induced by these mediations of the finance sector, opened an era of financial crises. Has the 2008 global financial crisis (GFC) altered these phenomena? Is financialization the only factor of this lasting rise in inequality? Why is this issue not more predominant in national political debates? The many factors fueling income inequality contribute to obfuscate the ensuing damages, at a time when a more egalitarian society seems necessary for a successful transition to environmentally sustainable modes of development.

One of the most negative consequences that economic inequality can have is to curb intergenerational mobility, that is, to make the fate of individuals more dependent on the economic conditions of the family of origin. In this work, based on empirical evidence, it is argued that in our age inequality affects intergenerational mobility through multiple channels, not just the human capital to which reference is more often made in literature. Furthermore, we highlight some reasons why, depending also on these mechanisms, it is possible that a vicious circle is established between inequality and intergenerational immobility.

The question of inequality and political violence is hotly debated. While some suggest that inequality leads to grievance-based violence, others suggest opportunity to dissent is what matters. Rather than large armed violence that is rare, we use political repression, or one-sided violence, to test propositions about inequality's role in the dissent-repression nexus. Using several measures of property inequality and equity, defined as equal access to political power and public goods, we find that inequality and equity matter for predicting political repression. The substantive effects of equity, however, are far greater than that of income inequality. We find only very small substantive effects of horizontal inequality measured as ethnic exclusion and discrimination on state repression, and these effects surprisingly are conditioned positively by strong democracy. These findings raise questions about horizontal inequality and grievance-based rebellion because increasing democracy should allow less repression of grievance-based dissent. The results are robust to the inclusion of several relevant controls, alternative specifications, estimating method, and dependent variables measuring repression.

This article reviews the main points of the academic debate relative to the relationship between economic inequality and conflicts. After clarifying what is meant with the expression 'economic inequality', I recall how it is measured and report the basic facts on income and wealth inequality within countries, across and between countries and at the global level and provide the possible explanations for them. I then discuss the main question posed by this article, namely the correlation between economic inequality and conflicts. The possible correlation existing between within countries inequality and internal conflicts is also examined, together with the role played by social capital, that can be undermined by economic inequality. Finally, the correlation between cross-country inequality and external (or international) conflicts is analyzed, one of the most relevant of which today is represented by migrations.

In Summer 2017 "Scienza e Pace" has decided to publish a Thematic Issue on economic inequality and its effects on conflicts, peace, crises of different nature and on social relations in general. In order to do so, the Journal invited economists, jurists, political and social scientists to take part in a one-day conference, which took place on December 1 at the Department of Economics of the University of Pisa, devoted to the analysis of the causes, consequences and proposals to address and face these problems. Here the introduction to the Thematic Issue edited by Pompeo Della Posta.

Negli ultimi vent’anni si è consolidato in Europa il consenso intorno alle politiche di controllo dell’immigrazione promosse in modo trasversale da governi conservatori e progressisti, spesso sotto la pressione di movimenti populisti e di estrema destra. Si è affermata una gestione delle frontiere di tipo securitario, altamente selettiva e punitiva, in deroga agli obblighi degli Stati in materia di diritti umani, costruendo una gerarchia globale della mobilità assai svantaggiosa per chi è nato nel Sud del mondo e dispone di poche risorse. Sono state introdotte norme sull’accesso al welfare e alla cittadinanza sempre più ispirate a criteri di rigore, di ‘merito’ e di appartenenza identitaria alla comunità nazionale. Sono aumentati i controlli sui migranti ‘irregolari’ e sono state adottate regole più dure per la detenzione amministrativa e le espulsioni. Le contraddizioni tra queste politiche e i principi garantisti e democratici dell’ordinamento costituzionale sono state neutralizzate: le leggi sull’immigrazione vengono presentate come colour-blind, ispirate all’interesse nazionale e basate su presunti dati di fatto, e soprattutto vengono giustificate come risposta alla ‘domanda di sicurezza’ dei cittadini. Xenofobia e sciovinismo sono stati così ammessi tra gli argomenti politici legittimi, dando luogo a un nuovo tipo di ‘razzismo democratico’: milioni di ‘non-cittadini’ vivono in condizioni di subordinazione, senza che ciò susciti dubbi nella maggioranza della popolazione. [...]

Ogni tempo ha il suo fascismo, se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti.

Primo Levi

Libertà, democrazia, sicurezza, privacy. Sono alcune tra le parole più controverse, ma anche più dense di significato, che vengono utilizzate nelle scienze sociali e nel discorso pubblico, mediatico e politico, contemporaneo. Da secoli sulla definizione e la messa in pratica dei concetti di “libertà” e “democrazia” si sono impegnati, con posizioni e risultati diversi, intellettuali e militanti. Per difendere libertà e democrazia si sono combattute guerre di resistenza, per preservarle e realizzarle si sono scritte le costituzioni moderne. Oggi, la tranquillità dei Paesi occidentali ha reso la maggioranza dei cittadini poco sensibili, e forse inconsapevoli, rispetto al fatto che i pericoli per la democrazia e la libertà non sono affatto svaniti, malgrado l’assenza di una guerra guerreggiata sul territorio europeo, fatta di carri armati e di bombardamenti aerei. Tali pericoli sono sempre presenti, ma agiscono in modo più subdolo perché sono pericoli “invisibili” che le autorità hanno interesse a coprire o minimizzare, per mantenere intatto il senso comune liberal-democratico e la fiducia nello Stato di diritto. [...]

Il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, in provincia di Catania, rappresenta il simbolo del fallimentare sistema di accoglienza italiano. Immerso nelle campagne della piana di Catania, e lontano dai centri abitati, si trova l’ex Residence degli Aranci, un tempo lussuosa residenza delle famiglie dei militari statunitensi di stanza a Sigonella, oggi il più grande CARA esistente in Italia e in Europa. Istituito repentinamente nell’ambito della cosiddetta “Emergenza Nord Africa”, nel marzo del 2011, il CARA di Mineo è stato, sin dal principio, descritto come il fiore all’occhiello dell’accoglienza all’italiana, un modello da esportare in Europa. Allo stesso tempo è stato definito “ghetto”, “prigione dorata”, “inferno a 5 stelle”, “limbo”. Attualmente ospita circa quattromila richiedenti asilo a fronte di una capacità, dichiarata sin dalla sua apertura, di duemila posti. [...]

“Il valore di una democrazia si misura in base al rispetto e all'attenzione che questa mostra verso gli ultimi” scriveva Nelson Mandela (1995). Chi sono gli ultimi nella nostra società? I senza voce, le categorie che, a causa della loro emarginazione sociale, vengono discriminate e poi da alcuni sfruttate e/o oppresse: migranti, rom, prostitute, persone transessuali e omosessuali, persone diversamente abili. [...]

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