Issues / 2017 / Federico Oliveri

Appare sorprendente che la rivista ultra- tradizionale Foreign Affairs arrivi all’estremo di pubblicare, come articolo principale della sua ultima edizione, “Perché l’Iran dovrebbe avere la Bomba” del noto studioso di scienze politiche Kenneth Waltz.
In realtà non è tanto il titolo appariscente, bensì il ragionamento dell’articolo che rappresenta uno schiaffo alla filosofia anti-proliferazione che ha costituito la pietra angolare della posizione generale degli stati dotati di armi nucleari. Waltz ha cura di evitare di disconoscere la sua identità politica allineata con la tradizione. Ripete l’assunto, che s’intensifica sempre più, che l’Iran stia attualmente perseguendo senza tregua gli armamenti nucleari, anche se concede che possa star solo cercando di ottenere un potenziale di “reazione” – la capacità, in un’emergenza nazionale, di assemblare alcune bombe nel giro di mesi – di cui godono il Giappone e diversi altri paesi.
In nessuna parte Walt allude all’opinione condivisa, recentemente pubblicizzata, di 14 agenzie dei servizi d’informazione statunitensi, che conclude che non ci sono prove che l’Iran abbia deciso di riprendere il suo programma militare abbandonato del 2003. Assieme ad alcuni degli altri argomenti che propone, Walt segnala il suo generale appoggio all’approccio statunitense alla sicurezza d’Israele. Non fraintendiamo: Walt non è né un dissenziente politico né un radicale politico. [...]

Negli ultimi anni le iniziative di resistenza popolare non-violenta e di disobbedienza civile nei territori palestinesi occupati e in Israele hanno ricoperto spazi sempre più rilevanti. Sia nell’opinione pubblica palestinese e israeliana che in quella internazionale, strategie e pratiche alternative alla corrente mainstream hanno rappresentato l’altra faccia del conflitto, seppure ancora come punto di vista minoritario all’interno del cosiddetto “processo di pace”. Se da un lato, la partecipazione degli attivisti palestinesi e israeliani in azioni di politica dal basso è nuovamente cresciuta dopo l’impasse causata dal fallimento degli Accordi di Oslo, dall’altro, gli ostacoli e le contraddizioni interne (in particolare del movimento pacifista israeliano) hanno impedito il raggiungimento di sostanziali cambiamenti dello status quo basati su politiche di riconoscimento e solidarietà.
In un quadro di continuata occupazione militare e di violazioni quotidiane dei diritti fondamentali, due sono le questioni di fondo oggetto della seguente riflessione. La prima, consolidatasi sulle forti dicotomie “noi/loro”, “occupante/occupato”, “oppresso/oppressore”, si rivolge alle voci critiche interne a ciascuna parte. La seconda, a partire da esempi di azioni congiunte tra palestinesi e israeliani, pone l’accento sulla difficoltà nell’attuare politiche realmente egalitarie tra i due fronti contrapposti del conflitto, includendo anche le differenti realtà dello stesso movimento pacifista israeliano. Da qui la domanda: è ancora possibile parlare di una proposta alternativa, che possa svilupparsi a partire da iniziative dal basso coordinate tra palestinesi e israeliani? [...]

Nell'undicesimo anniversario di quello che è diventato noto come l'11 settembre, al-Qaeda rimane un argomento ancora discusso ripetutamente, sia negli Stati Uniti (e nel mondo pan-europeo in generale) che nel Medio Oriente. L'enfasi principale negli Stati Uniti è solitamente il modo in cui il suo potere viene effettivamente contenuto da azioni militari di molti tipi, e quindi è una minaccia in declino. L'enfasi principale nel Medio Oriente sembra essere l'opposto, che sia sopravvissuta a tutto ciò che è stato fatto per decapitarla e che continua a rappresentare una minaccia importante per tutte le altre forze politiche nella regione. [...]

Dalla fine della Guerra Fredda stiamo assistendo all'emergenza di nuovi tipi di conflitti. I conflitti sembrano essere sempre più complessi e ancora troppo spesso vengono affrontati in modo semplicistico, usando un tipo di ragionamento lineare. La complessità viene ignorata e la necessità di un pensiero sistemico viene sottovalutata, portando spesso a risultati disastrosi. Il feedback viene spesso ignorato, ma, cosa più importante, le dinamiche complesse che fanno cambiare un conflitto nel tempo, seguendo percorsi difficili da prevedere, vengono raramente prese in considerazione. È necessario passare da una mentalità pre-complexity a una più complessa. Nel documento, anche attraverso esempi concreti, cercheremo di mostrare come un approccio di Systems Thinking sia essenziale per analizzare il conflitto di oggi, per prevenirli e agire in tal modo da farli sviluppare lungo percorsi costruttivi non violenti piuttosto che lungo quelli violenti distruttivi.

Questo documento si propone di esaminare come le conversazioni politiche avvengono sugli strumenti digitali offerti come parte del Digital Participatory Budget (OPD) a Belo Horizonte (Brasile). Gli autori propongono un modello analitico basato su teorie deliberative per indagare le discussioni su questo programma partecipativo. L'esempio principale è costituito dai messaggi inviati dagli utenti (n = 375) nella sezione commenti. I risultati mostrano che la reciprocità e la riflessività tra gli interlocutori sono rari; tuttavia, il rispetto tra i partecipanti e i livelli di giustificazione in diversi argomenti erano alti durante la discussione. Gli autori concludono che, anche in una situazione in cui non vi è alcun potenziamento degli strumenti digitali, Internet può effettivamente fornire ambienti per migliorare uno scambio discorsivo qualificato. Nonostante i bassi livelli di deliberatività, il case study mostra che ci sono importanti guadagni riguardo l'apprendimento sociale tra i partecipanti.

Il diritto all’acqua può essere considerato come la ‘cerniera’ concettuale che lega gli attualissimi dibattiti giuridici, politici ed economici, sull’acqua come bene e sui servizi idrici. Nel primo paragrafo del saggio viene presentata una breve ricognizione dell’emersione della nozione di diritto all’acqua. Nel secondo paragrafo viene sviluppata una riflessione critica tesa a dimostrare, alla luce dell’adesione alla teoria giuridica dei beni comuni, la necessità di una qualificazione autonoma ed ecologica del diritto all’acqua. Tale qualificazione avrebbe un’incidenza significativa e diretta sia nella discussione sugli assetti proprietari del bene-acqua, sia – soprattutto – nella scelta tra diversi modelli di servizio idrico.

Il presente documento suggerisce che la vita innovativa di Gandhi rappresenta l'inizio di tre riforme, della tradizione religiosa, dell'etica e della politica. La loro comune novità storica era la loro natura universale. Queste riforme divennero evidenti nelle loro azioni da parte del suo discepolo occidentale, Lanza del Vasto, che le promosse da una rappresentazione prevalentemente soggettiva a una rappresentazione strutturale. Sono state riconosciute due linee guida in tutte queste riforme; nel caso della riforma politica definiscono uno su quattro modelli di sviluppo, cioè la nozione di base della teoria politica della non violenza. La mancanza di queste nozioni teoriche nel pensiero di Gandhi spiega la sua drastica attitudine nel dipingere attraverso Hind Swaraj la civiltà occidentale come una civiltà semplicemente malvagia, così come alcuni altri punti delle riforme sopra menzionate che ancora non sono state raggiunte.

La laicità è idea moderna. Con la modernità condivide sia la matrice universalistica, sia la realizzazione storica localistica. La trasformazione in senso multiculturale delle società impone però una de- culturalizzazione o delocalizzazione del lessico laico. Esso deve aprirsi a una differenza di caratura antropologica, che vede la religione quale agenzia di produzione di senso all’interno delle diverse culture agite dagli individui. La realizzazione di una laicità interculturale rappresenta la chiave per assicurare la sintonizzazione degli ideali regolativi del pensiero laico con le effettive esigenze di uguaglianza presenti all’interno delle contemporanee società democratiche. Marcare questo obiettivo impone un’agenda complessa e difficile da rispettare. La sfida però è necessaria, anzi ineludibile. Perderla porrebbe il suggello all’inevitabilità di una laicità, e quindi di una soggettività giuridica e democratica asimmetrica, tracollo di ogni ideale universalista, ancorché declinato con modestia culturale. Solo una critica costruttiva della modernità può evitare una sconfitta in grado di compromettere la stabilità e la pace sull’interno pianeta. Un luogo, anzi un macro-luogo, segnato indelebilmente dalla modernità e che a partire da essa deve sapere inventare il lessico per immaginare il proprio futuro. Il diritto interculturale rappresenta la rotta suggerita in questo saggio verso un domani già in atto.

Che cosa si intende con Open Government e Open Data? Quali sono le caratteristiche dei Linked Open Data? L'articolo si propone di rispondere a queste domande ricostruendo in primo luogo il passaggio dal cosiddetto e-Government all'Open Government, nato assai di recente in ambito anglosassone, per concentrarsi in secondo luogo sulla definizione giuridica e tecnica di Open (Government) Data, per concludere, infine, con un'analisi delle conseguenze che l'adozione di un paradigma basato sui Linked Open Data (LOD) può avere, in termini di trasparenza amministrativa e di sostegno ai modelli di cittadinanza attiva.

Quando si parla di politica, a qualsiasi livello, si fa generalmente una distinzione istintiva fra ciò che è di interesse pubblico, collettivo, e ciò che costituisce il privato, la sfera individuale e finanche intima di ciascuno. Allo stesso modo, quando l'oggetto del discorso è internet – ed in particolare il sottoinsieme dei suoi nodi che costituiscono il cosiddetto world wide web, la “tela grande quanto il mondo” (Gallino 2000) – uno dei primi concetti che vi si associa è quello di 'virtuale', non tanto nel senso di 'irreale', quanto piuttosto nell'accezione di una diversa sfumatura di realtà, contrapposta a ciò che è fisico, concreto, tangibile. Tuttavia, se proviamo ad analizzare la pratica della politica e quella dell'uso di internet, vediamo i concetti mescolarsi, le dicotomie assumere un aspetto meno rigido, scivolare insensibilmente le une nelle altre, in uno spazio dai contorni indefiniti dove i bisogni individuali possono assumere l'aspetto di interessi comuni e viceversa, le discussioni meramente telematiche avere delle ricadute concrete e gli episodi concreti dare origine a dibattiti virtuali, in un muoversi incessante dall'uno all'altro polo. Tutto ciò assume un aspetto evidente quando le due aree si intersecano, e si prova a ragionare sull'uso politico del web nelle sue varie sfaccettature, avendo come punti di riferimento proprio le coppie 'pubblico/privato' e 'virtuale/reale', attraverso le quali tentare di avvicinarsi a quell'entità indefinibile, priva di confini e caratteristiche precise, e tuttavia politicamente sempre più rilevante, che è oggi nota come ‘popolo della rete’. Chiedendosi anche come l'intreccio tra politica e web influisca sul concetto di partecipazione politica nelle società contemporanee. [...]

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