Tra resistenza non-violenta e disobbedienza civile

Abstract

Negli ultimi anni le iniziative di resistenza popolare non-violenta e di disobbedienza civile nei territori palestinesi occupati e in Israele hanno ricoperto spazi sempre più rilevanti. Sia nell’opinione pubblica palestinese e israeliana che in quella internazionale, strategie e pratiche alternative alla corrente mainstream hanno rappresentato l’altra faccia del conflitto, seppure ancora come punto di vista minoritario all’interno del cosiddetto “processo di pace”. Se da un lato, la partecipazione degli attivisti palestinesi e israeliani in azioni di politica dal basso è nuovamente cresciuta dopo l’impasse causata dal fallimento degli Accordi di Oslo, dall’altro, gli ostacoli e le contraddizioni interne (in particolare del movimento pacifista israeliano) hanno impedito il raggiungimento di sostanziali cambiamenti dello status quo basati su politiche di riconoscimento e solidarietà.
In un quadro di continuata occupazione militare e di violazioni quotidiane dei diritti fondamentali, due sono le questioni di fondo oggetto della seguente riflessione. La prima, consolidatasi sulle forti dicotomie “noi/loro”, “occupante/occupato”, “oppresso/oppressore”, si rivolge alle voci critiche interne a ciascuna parte. La seconda, a partire da esempi di azioni congiunte tra palestinesi e israeliani, pone l’accento sulla difficoltà nell’attuare politiche realmente egalitarie tra i due fronti contrapposti del conflitto, includendo anche le differenti realtà dello stesso movimento pacifista israeliano. Da qui la domanda: è ancora possibile parlare di una proposta alternativa, che possa svilupparsi a partire da iniziative dal basso coordinate tra palestinesi e israeliani? [...]

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