È stata pubblicata di recente la traduzione italiana del libro del medico australiano Helen Caldicott dedicato alla questione del nucleare, uscito nel 2006 presso la Newton Press di New York. La Caldicott è diventata una delle maggiori attiviste antinucleari del suo paese e del mondo dopo aver esercitato per alcuni anni la professione di pediatra, esperienza che si è rivelata fondamentale per il suo impegno civile a partire dall’esame di diversi bambini esposti agli effetti di Cernobyl.
In Italia la grande stampa sostiene più o meno apertamente la scelta dell’attuale governo di superare il blocco del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico, blocco sancito dal referendum abrogativo dell’8-9 novembre 1987. Anche per questa ragione il libro della Caldicott si rivela prezioso e da diffondere: per rompere l’accerchiamento mediatico e in parte anche accademico intorno alla questione. Il libro si compone di dieci ben documentati capitoli, che sviluppano la tesi centrale dell’autrice: la sostanziale falsità dei principali argomenti indirizzati ad un’opinione pubblica preoccupata dalla prospettiva dell’esaurimento e dall’impatto ambientale delle fonti energetiche tradizionali di natura fossile. Ci si impegna dunque a smentire l’interessata affermazione che questa modalità di produrre energia sia efficiente e sicura e non produca gas-serra o emissioni nocive. [...]

Il saccheggio è un libro interessante e coraggioso, che affronta i temi del colonialismo e dell’imperialismo contemporanei dal punto di vista del ruolo che il diritto svolge in questi processi. Il dato di partenza che guida la ricerca è delineato con grande nettezza: “il diritto è stato ed è tuttora utilizzato per amministrare, sanzionare e soprattutto giustificare la conquista e il saccheggio occidentale”. Proprio questo continuo e mai interrotto saccheggio – già magistralmente descritto da Edoardo Galeano nel suo libro Le vene aperte dell'America Latina – è alla base della massiccia disuguaglianza globale attuale. Questo saccheggio è stato giustificato attraverso la potente retorica della legalità: ma un simile “progetto di dominazione avvolto nella retorica della legalità non può che costruire una poderosa costruzione di egemonia, persuadendo le vittime della benevolenza dei predoni”. In questo modo, “senza alcun pudore si finge di esportare legalità in Afghanistan e in Iraq, mentre se ne esporta soltanto un regime, complice del saccheggio delle multinazionali, legittimato dalla legge del più forte pure nei suoi episodi più cruenti (l’anno 20101 si è inaugurato con la notizia dell’assoluzione, basata su un formalismo processuale, ad opera di una Corte federale statunitense, dei mercenari della Blackwaters responsabili del massacro di 17 civili iracheni)”. [...]

Lo scorso settembre l'evento principale riguardo al conflitto israelo-palestinese è stato la ripresa dei cosiddetti negoziati di pace, sotto gli auspici del presidente Obama. Un evento che ha avuto le prime pagine della stampa italiana e internazionale, e che continua a essere seguito con grande attenzione. Pochissima invece l'attenzione per un episodio minore, ma non per questo irrilevante, che ha a che vedere con il boicottaggio dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi, e riguarda in particolare l'insediamento di Ariel. Si tratta di uno dei più grossi e popolati insediamenti della zona, progettato nel 1978 con l'obiettivo di penetrare profondamente nella Cisgiordania, separando il nord dal centro. La cittadina conta oltre 17.000 abitanti e dista circa 16,5 km dalla “Linea verde”, ossia la linea di demarcazione fissata dagli accordi d'armistizio del 1949 fra Israele e i Paesi arabi confinanti (Libano, Siria, Giordania ed Egitto) e che separa il territorio israeliano dai territori occupati dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. Il muro che divide l'insediamento dal resto della Cisgiordania è lungo 114 km e contiene al suo interno 120.000 dunum di terra (corrispondenti a circa 12.000 ettari) espropriata ai palestinesi. [...]

 

Lunedì 15 novembre 2010 Priscila Facina Monnerat, esponente del Movimento Sem Terra, ha partecipato a Pisa ad alcune iniziative organizzate dall’associazione Fratelli dell’Uomo insieme al corso di laurea in Scienze per la Pace. Prima un seminario alla Facoltà di Ingegneria su “Questione Ambientale e sovranità alimentare in Brasile”, poi un dibattito pubblico a Rebeldía su “Brasile: elezioni politiche e movimenti sociali”.
ScienzaePace le ha posto alcune domande: sul suo lavoro e sulle campagne della sua organizzazione, sulla situazione sociale in Brasile dopo il lungo governo Lula, sulle prospettive aperte dall'elezione di Dilma Rousseff, sul futuro dei movimenti sociali per la terra e del loro rapporto con i contesti urbani. Dall'intervista emerge con forza tutto il potere di cambiamento insito nelle pratiche di "auto-organizzazione dal basso" e in una modalità di rapporti sempre critici ed autonomi verso i partiti, compresi quelli "progressisti" e di "sinistra". [...]

Quando una comunità locale si confronta in modo diretto con le problematiche legate all'accoglienza di chi vive in stato di grave marginalità, si registra spesso un incremento delle tensioni e il bisogno di riscrivere gli equilibri che determinano la qualità della vita. A partire dal caso del Progetto Homeless che, nella città di Pisa, mira all'inclusione delle persone senza dimora, è possibile chiarire come il ricorso a strumenti di cittadinanza attiva e ad un sistema di interventi di mediazione sociale contribuisca in modo positivo ad accrescere il senso di corresponsabilità.
Il Progetto Homeless nel suo complesso intende promuovere il diritto di cittadinanza delle persone senza dimora. Più precisamente, il progetto consiste nell'asilo notturno e nel centro diurno, che erogano servizi di “bassa soglia” per rispondere ai bisogni di prima necessità (area dell'accoglienza), e nello sportello d'ascolto e nell'unità di strada, che orientano le persone verso le risorse sociali presenti sul territorio e offrono gli strumenti di base per l'avvio di percorsi di accompagnamento e di inclusione (area del segretariato sociale). Nato nel 1996 su impulso della Caritas Diocesana di Pisa, il progetto ha fin dal principio visto il coinvolgimento di diversi soggetti istituzionali (Comune di Pisa, USL 5 di Pisa e Società della Salute della Zona Pisana) che ne hanno garantito, fino ad oggi, il finanziamento. L'attuazione dei diversi interventi è stata affidata a tre cooperative sociali del territorio: Il Simbolo, Il Cerchio e Il Melograno. [...]

In Italia i corsi di laurea per la pace sono nati quando era ancora aperta e promettente la prospettiva inaugurata dagli eventi del 1989. Con la fine della guerra fredda era legittimo credere che le istituzioni nazionali ed internazionali avrebbero riconosciuto, finalmente, le proposte ed il lavoro di coloro che per decenni si erano impegnati per quella strategia di pace, che è poi risultata vittoriosa rispetto alla strategia dello scontro nucleare tra le due super-potenze, col concorso degli stati dei rispettivi “blocchi”. In molti abbiamo auspicato e creduto che i governi avrebbero risposto a quegli eventi epocali, introducendo nella struttura sociale e politica apposite “istituzioni per la pace”. Abbiamo invece dovuto constatare con amarezza che le istituzioni politiche sono rimaste sorde a queste aspettative, specie quelle dell’Europa, che pure era stata salvata, grazie al precedente impegno per la pace, dall’olocausto di 200 milioni di morti al primo colpo nucleare. [...]

“Le condizioni abitative e gli oneri economici connessi all’abitazione rappresentano, per alcuni gruppi di famiglie italiane, un fattore di vulnerabilità molto rilevante sul quale agiscono il livello e la composizione dei redditi familiari, la situazione patrimoniale, le condizioni di accesso al mercato delle abitazioni”. È questo l’incipit dell’ultima indagine dell’ISTAT (2010) sulle condizioni abitative delle famiglie residenti in Italia, che evidenzia un progressivo aumento della disuguaglianza abitativa, misurata da precisi indicatori di disagio.
Altri rapporti scientifici, usciti in questi ultimi anni (Brandolini, Saraceno, Schizzerotto, 2009) pongono in rilievo come questa maggiore disparità nella disponibilità della casa e nelle situazioni abitative si collochi all’interno di un aumento significativo delle dimensioni della disuguaglianza nell’Italia di oggi: tale evoluzione è evidenziata, in particolare, dall’aumento delle povertà e della marginalità sociale, dalla forte polarizzazione nella distribuzione del reddito, dalle peggiorate condizioni di salute di quote consistenti di popolazione, non soltanto anziana, in diretta relazione con le caratteristiche socio- economiche degli individui. Ci si presenta un’Italia incapace di mantenere il riconoscimento dei diritti sociali acquisiti dalle generazioni passate, caratterizzata da minore equità e crescenti disparità sociali, anche tra territori e generazioni. Quanto avviene in Italia appare non dissimile dai processi più generali di arricchimento e di impoverimento che si riscontrano, da diversi decenni, sia nei paesi del Sud del mondo che all’interno degli stessi paesi occidentali. All’interno di questo quadro più generale, il nostro paese manifesta però caratteri specifici di maggiore ampiezza del fenomeno, con una presenza di complesse radici sia storiche che attuali. [...]

L'urbanizzazione del territorio è sempre più un tema caldo nel dibattito pubblico italiano. C'è chi la associa ad un auspicabile “sviluppo” delle città, e chi la maledice ricordando i “bei tempi andati”. Se ne parla molto, eppure spesso si conoscono poco l’ampiezza e le implicazioni del fenomeno: in Italia, ad esempio, nessuno può dire con certezza quale sia la percentuale di suolo urbanizzato, a differenza di altri paesi europei come la Germania, l’Olanda o la Svizzera, dove si effettuano rilevazioni annuali per poi elaborare la pianificazione del territorio. Inoltre, non è facile orientarsi in un settore che attira investimenti pari al 17% del PIL nazionale e in cui ci si scontra, fatalmente, con interessi contrastanti, modelli sociali alternativi, lobby opposte ed agguerrite.
Questo articolo intende affrontare alcuni punti chiave del “consumo del territorio”, non solo analizzando i dati disponibili ma anche presentando concrete proposte politiche alternative in via di sperimentazione in alcuni Comuni italiani. Il punto di partenza è costituito dall'analisi di alcuni studi legati all'utilizzo del suolo, in modo da indagare la portata e gli effetti dell'urbanizzazione. Su questa base sarà possibile sviluppare una riflessione sulle scelte politiche più comuni nel nostro paese, per poi concludere con l'indicazione di un’altra via percorribile, quella dello stop al consumo del territorio. Una strada che riporta le autorità locali – e soprattutto i singoli cittadini – al centro della politica del territorio, in termini di partecipazione e di reali possibilità di azione. [...]

La previsione di quello che sarà il futuro delle città italiane, delle città europee in generale, passa necessariamente dal riconoscimento dei mutamenti che la nostra società ha subito e continuerà a subire per effetto di strategie economiche di respiro più o meno ampio. Questi mutamenti di carattere economico coinvolgono la popolazione attualmente residente negli ambiti urbani e, in prospettiva, comporteranno modificazioni di questi ambiti attraverso eventi che, nonostante ciò che ne pensino i nostri politici, solo in piccola parte sarà possibile, anche volendolo, contrastare.
A questa previsione non fa eccezione la città di Pisa. La lettura degli obiettivi generali che l’attuale amministrazione comunale pisana si pone, riportati nel documento urbanistico più importante e di più recente approvazione, ovvero la Varante al regolamento urbanistico - lo strumento che, insieme al piano strutturale, regola il presente e il futuro del territorio comunale - dà un’idea chiara dei limiti che l’attuale concezione dell’urbanistica porta con sé e delle ripercussioni che questa concezione avrà sulla nostra vita nei prossimi anni. [...]

Nella misura in cui il discorso sulla razza satura l’intero campo sociale e politico, non può fare a meno di coinvolgere o sottomettere tutti coloro che appartengono a esso come soggetti di un’ideologia razziale (we're all raced): siamo tutti situati in un’ideologia razziale, in modi che neppure il più astratto e formale discorso analitico può cancellare. Kendall Thomas. [...]

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