Da Vilnius a Sebastopoli. Storia di una crisi evitabile

Abstract

Mai così bene come in questo ultimo anno il termine Ucraina, che significa “vicino al confine”, si addice a questa “terra di frontiera” tra Occidente e Oriente divenuta oggetto di grande attenzione internazionale dopo la decisione del presidente Janukovič di non siglare l’accordo di associazione con l’Unione Europea e il conseguente scoppio delle manifestazioni in Piazza Majdan. Una terra considerata di frontiera in primo luogo per la collocazione geografica del paese divenuto teatro di scontro, ancora una volta come in altre occasioni del passato, di considerazioni geopolitiche antitetiche. Da un lato quelle dell’Unione Europea, in primis della Germania, e degli Stati Uniti che speravano – e sperano ancora – di attirare nella propria orbita il paese; dall’altro quelle della Russia che considera questo paese come facente parte della propria sfera di sicurezza. Ma una terra che può essere definita “di frontiera” anche dal punto di vista della complessa questione linguistica dal cui punto di vista il paese rappresenta un caso del tutto atipico in cui divisioni grossolane sono di facile tentazione ma difficilmente applicabili a fronte di una popolazione che spesso parla indifferentemente ucraino o russo persino durante la medesima trasmissione televisiva. [...]

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