Abstract
È proprio vero, come sostengono polemicamente alcuni studiosi, che “se consideriamo la riflessione accademica, ma anche l’universo del discorso giornalistico, di quello politico, di quello quotidiano e di senso comune, ci accorgiamo che la tanto sbandierata novità delle reti finisce di fatto per dare luogo a nulla di più che un’appendice alle vecchie chiacchiere sui mass media” (Paccagnella, 2002, pp. 95-96)? Era il 1964 quando Umberto Eco pubblicava il suo famoso saggio sugli «apocalittici» e gli «integrati», ossia sulle due linee di pensiero che vedevano nel diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa (radio e soprattutto televisione) due tendenze evolutive opposte: i primi ne denunciavano la portata negativa, i secondi ne esaltavano quella positiva. Entrambe le posizioni però, malgrado gli assunti diametralmente opposti, condividono secondo Paccagnella una medesima concezione dell’utente come “soggetto passivo”, che tende a subire o effetti negativi o effetti positivi a prescindere dalla sua “volontà”. Tuttavia la televisione, la radio e oggi internet sono solo degli “strumenti”, ossia non hanno di per sé un senso, a meno che non sia l’utente ad attribuirgliene uno. E questo perché “il fruitore dei media non è una semplice spugna che si limita ad assorbire il flusso comunicativo a cui viene esposta, ma costruisce attivamente il senso e il significato dei messaggi fino ad arrivare a poter essere considerato un co-autore della comunicazione” (Paccagnella, 2002, p. 100). [...]